Febbre da flat tax per le partite Iva con il nodo delle quote societarie
Obiettivo: chiudere i conti con il Fisco pagando il 15 per cento. Il regime forfettario oggi è in cima all’agenda fiscale di autonomi e professionisti. Il 54% dei quesiti arrivati finora al Forum di Telefisco riguarda la cosiddetta flat tax per le partite Iva (il tema sarà tra quelli trattati al convegno del Sole 24 Ore, giovedì).
L’aumento a 65mila euro della soglia di ricavi e compensi spalanca la possibilità di scegliere il forfait a circa 909mila contribuenti Iva che fino all’anno scorso avevano un volume d’affari troppo alto. Ma in questi giorni anche molti lavoratori e pensionati stanno facendo i conti, perché la legge di Bilancio ha eliminato il limite massimo del reddito di lavoro dipendente o assimilato che può essere abbinato al forfait (fino al 2018 era di 30mila euro).
Per molti il momento di decidere è adesso, dato che la scelta va compiuta con la prima fattura dell’anno, da emettere senza Iva se si sceglie il forfait - e su carta, dato che i forfettari sono esonerati dalla fattura elettronica.
Convenienza e fattibilità
Molti professionisti possiedono quote in società di persone o di capitali. Finché restavano alla tassazione standard, non c’erano problemi. Ma il forfait è incompatibile con la partecipazione a società di persone, mentre per le Srl le regole sono cambiate proprio quest’anno: si può esserne soci, purché le quote non siano di controllo e l’attività sia diversa. Due concetti – controllo e attività riconducibile a quella del forfait – su cui ci si interroga in questi giorni, valutando se convenga cedere le quote.
Per i dipendenti arriva sì l’eliminazione del reddito massimo di lavoro, ma anche il divieto di operare in prevalenza con il proprio datore o ex datore. Così, alcuni di coloro che applicavano il forfait nel 2018 scopriranno – si spera tempestivamente – di non poterlo più fare quest’anno: si pensi a un pensionato che fa da consulente per il proprio ex datore di lavoro. I dipendenti che entrano nel regime quest’anno, invece, dovranno comunque stimare l’impatto dei contributi previdenziali sui proventi del “secondo lavoro”: è vero che l’Irpef è più cara rispetto al 15% (oltretutto applicato sul reddito calcolato con i coefficienti), ma le collaborazioni occasionali fino a 5mila euro evitano l’Inps e si gestiscono nel 730.
Comunque, quando non ci sono intoppi legati a quote societarie o rapporti con il datore di lavoro, il forfait è quasi sempre la scelta vincente, anche se la convenienza va riscontrata alla luce dei costi effettivi, delle detrazioni di cui può beneficiare il contribuente e dell’eventuale Irap dovuta o Iva da versare sul magazzino (si vedano le schede in alto).
Incentivi ed effetti economici
Il risparmio d’imposta è così grande – oltre 7.500 euro di minori imposte dirette per un professionista con un reddito di 50mila euro – che rischia di creare distorsioni o incentivare comportamenti tutt’altro che virtuosi. Qualcuno potrebbe sottofatturare i proventi pur di restare entro i 65mila euro. Qualcun altro potrebbe scegliere il forfait nel 2019 anche se ha redditi molto sopra la soglia, contando sul fatto che – alla lettera della legge – l’uscita dal regime decorre dal 2020. Più in generale, con il forfait viene meno la spinta a “collezionare” scrupolosamente le fatture d’acquisto per dedurre i costi e detrarre l’Iva (ci sarà chi chiederà uno sconto anziché la fattura?)
A livello di sistema, si introduce un incentivo inverso all’aggregazione – più di un commentatore ha ipotizzato lo scioglimento di società e studi – e, in ogni caso, diventa normale trovarsi di fronte a soggetti con un tax rate molto diverso a parità di attività svolta. Inoltre, non dovendo più applicare l’Iva, i forfettari che operano con i consumatori finali potranno sfruttare questo vantaggio per ridurre i prezzi e diventare più competitivi o lasciare i prezzi invariati e accrescere i propri margini.