Imposte

Finanziamenti dei soci al test interessi

di Paolo Meneghetti

La disciplina contabile dei finanziamenti infruttiferi concessi dal socio alla propria società è stata sensibilmente rivoluzionata con il criterio del costo ammortizzato: criterio con il quale la società finanziata deve rilevare il debito attualizzandolo tenendo conto degli interessi attivi e passivi figurativi.

Questo criterio è obbligatorio nel caso in cui la società si qualifichi come macro impresa secondo i parametri di cui all’articolo 2435-bis del Codice civile, mentre è facoltativo negli altri casi.

L’inserimento degli interessi attivi e passivi “figurativi” nel conto economico genera a sua volta interrogativi di carattere fiscale sia per quanto attiene la determinazione dell’imponibile Ires sia per quanto attiene al calcolo dell’Ace. Queste vicende sono state analizzate dai due Dm dell’Economia emanati il 3 agosto scorso (d’ora in avanti decreto Ace e decreto Oic) ma le ricadute fiscali non sono sempre del tutto chiare quindi un intervento di sistematizzazione sarebbe auspicabile. In primo luogo è necessario distinguere due opzioni alternative:

Gli interessi attivi figurativi sono da considerare apporto del socio e quindi imputati direttamente quale riserve di patrimonio netto;

Gli interessi attivi sono da considerare provento e allocati nell’area C del conto economico.

Nel primo caso l’incremento di patrimonio netto generato dalla iscrizione della riserva da apporto non produce alcun effetto ai fini Ace, in base al disposto dell’articolo 5, comma 5 del decreto Ace e quindi sarà una posta da non considerare quale conferimento in denaro dei soci. Il problema si sposta sugli interessi passivi “figurativi” calcolati applicando il tasso di mercato al debito attualizzato.

Questa posta transita nel conto economico ma non può essere dedotta dall’imponibile giusta il disposto dell’articolo 1 del decreto Oic secondo cui, se sia scelta la via della imputazione a patrimonio netto, i componenti positivi o negativi rilevano solo in base al tasso contrattuale (e non quello di mercato), tasso che nei finanziamenti infruttiferi è pari a zero. Pertanto non si ha alcuna deduzione fiscale.

Resta però il problema di un componente negativo che deprime l’utile civilistico, il quale accantonato a riserva genera un minor incremento rilevante ai fini Ace. Logica vorrebbe che nel calcolo dell’incremento Ace si considerasse l’utile aumentato di quei componenti negativi, poiché diversamente la società subirebbe una doppia penalizzazione.

Nel secondo caso gli interessi attivi e passivi saranno rilevanti anche dal punto di vista fiscale, come annota anche la relazione governativa, poiché la loro sterilizzazione opera solo nell’ipotesi in cui si scelga il metodo della imputazione a patrimonio netto. Rilevanti nel senso di componenti che concorrono a formare l’imponibile Ires del periodo d’imposta.

Ma quali riflessi ai fini Ace? Applicando la disposizione dell’articolo 5 comma 5 del decreto Ace si arriverebbe alla conclusione che qualunque incremento di patrimonio netto derivante da finanziamenti infruttiferi vada escluso dal calcolo dell’Ace, e quindi sembra che l’utile di esercizio debba essere depurato degli interessi attivi figurativi per calcolare l’incremento rilevante ai fini Ace, ma poi bisogna capire quale sarà il trattamento di quelli passivi che sono iscritti a conto economico e sono del tutto fiscalmente rilevanti.

Anche in questa ipotesi sarebbe logico, sempre ai fini Ace, depurare l’utile di questa posta negativa, ma questo passaggio interpretativo dovrebbe essere confermato dalle Entrate.

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