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FISCO E AGRICOLTURA/La soccida non preclude il regime speciale

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di Gian Paolo Tosoni

Il soccidante che svolga anche in proprio l’attività di allevamento è considerato produttore agricolo e pertanto può usufruire del regime speciale di detrazione di cui all’articolo 34 del decreto Iva.
Questa è la linea interpretativa, fin dalla introduzione dell’Iva, del Ministero delle Finanze contenuta nella circolare n. 32 del 27 aprile 1973 e tale principio si è consolidato nel tempo sia nella prassi che in giurisprudenza.
Anche la recente sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise (sentenza 209/1/18) ha avuto modo di precisare che al fine di poter rientrare in agricoltura, la forma diretta di conduzione dell’allevamento, a cura del soccidante, sia svolta «quanto meno in misura parziale».
La soccida (articolo 2170 del codice civile) è un contratto associativo in cui due soggetti, soccidante e soccidario, si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame al fine di ripartire l’accrescimento degli animali e dei prodotti che ne derivano. Trattandosi di contratto associativo è indubbio che entrambi i contraenti sono imprenditori. Tale contratto è molto diffuso e secondo la citata prassi ministeriale, la veste di contribuente viene assunta dal solo soccidante qualora provveda alla vendita dell’intero prodotto, ovvero anche dal soccidario per la parte di sua spettanza. Quindi il soggetto passivo ai fini dell’Iva è principalmente il soccidante.
L’articolo 34 del Dpr 633/72 prevede che il regime speciale di detrazione, secondo il quale la detrazione è forfetizzata mediante le percentuali di compensazione, le quali qualora determinino un’ Iva detraibile superiore a quella assolta sugli acquisti generano una rendita fiscale, si applica ai produttori agricoli (più che agli imprenditori agricoli).

A nostro parere la differenza tra produttore agricolo ed imprenditore agricolo è impercettibile in quanto il medesimo articolo 34 dice che sono produttori agricoli quelli che svolgono le attività di cui all’articolo 2135 del Codice civile (imprenditore agricolo). Tuttavia il Ministero delle Finanze con la circolare n. 32/1973 e con risoluzioni successive ha introdotto una sorta di regola antielusiva secondo la quale il soccidante può usufruire del regime speciale di detrazione a condizione che svolga in proprio la attività di allevamento. Questo significa che il soccidante deve possedere almeno un’azienda zootecnica condotta direttamente con propri dipendenti, in locali in proprietà o in affitto o posseduti ad altro titolo; tale condizione gli consente poi di moltiplicare la attività di allevamento ricorrendo a contratti di soccida.
Certo non si può affermare che il soccidante non svolge una attività agricola in quanto la gestione dell’allevamento è affidata al soccidario.
Il soccidante acquista gli animali, i mangimi ed i medicinali e ciò comporta un importante impegno finanziario. Fornisce la direzione dell’allevamento e quindi assicura l’assistenza veterinaria e sceglie i lavoratori estranei alla famiglia del soccidario (articolo 2173 del Codice civile); corre il rischio delle mortalità le quali non possono essere imputate al soccidario (articolo 2175 de Codice civile). Egli provvede alla vendita degli animali a fine ciclo, compresa anche (quasi sempre) la quota maturata dal soccidario e quindi sopporta il rischio delle perdite su crediti. Se non è produttore agricolo il soccidante, che corre veramente il rischio di impresa, e secondo il Ministero non lo è nemmeno il soccidario se non provvede alla vendita della sua quota di animali, arriveremmo al paradosso che seppur in presenza di una importante attività agricola, non ci sarebbe alcun produttore agricolo. In realtà il contratto di soccida come la compartecipazione agraria e come furono in passato la mezzadria e la colonia sono forme associative nell’ambito dell’agricoltura che per loro natura non possono che essere stipulate tra imprenditori agricoli.

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