FISCO E SENTENZE/Le massime di Cassazione: redditometro, sentenza d’appello, notifica via Pec
Per il redditometro le auto storiche valgono come quelle ordinarie. Stop alla sentenza d’appello che rinvia acriticamente al ricorso. Sì alla notifica via pec del ricorso per Cassazione anche se l’estensione del file non è in «pdf». Bancarotta per distrazione in caso di mancata salvaguardia dell’avviamento. Sono alcuni dei temi della rassegna delle massime delle principali pronunce di Cassazione in materia tributaria e societaria depositate nella settimana dal 26 al 30 giugno 2017.
ACCERTAMENTO E CONTENZIOSO
Per il redditometro le auto storiche valgono come quelle ordinarie
Per l’accertamento sintetico le auto storiche sono beni con una reale manifestazione di capacità contributiva anziché con mero valore affettivo e soggette a limitazioni tali da garantire l’uso sporadico e vanno considerate di quotidiano e normale utilizzo come la terza auto posseduta dal contribuente. In primo luogo, tali beni per le loro particolari caratteristiche e per le limitazioni particolari cui sono soggette sono equiparabili alle autovetture di normale utilizzo non rinvenendosi nelle tabelle allegate ai redditometri alcuna precisazione o restrizione al riguardo. In secondo luogo, le stesse autovetture costituiscono oggetto di ricerca e collezionismo fra gli appassionati di tali beni tant’è che esiste un particolare mercato e la manutenzioni di veicoli ormai da tempo fuori produzione comporta rilevanti costi, in ragione della necessità di riparazione e sostituzione dei componenti soggetti ad usura. In terzo luogo, la nuove classificazioni per questo tipo di auto introdotte dal nuovo Codice dalla Strada del 1992, ovvero dalla riformulazione delle tasse automobilistiche per particolari categorie di veicoli del 2000, anche se riconoscono l’appartenenza delle auto storiche alla categoria dei veicoli con caratteristiche atipiche, non valgono ai fini fiscali ed in ogni caso non le escludono dalle categorie generali delle autovetture quale indice di capacità contributiva.
■Cassazione, sentenza 15899/2017
Stop alla sentenza d’appello che rinvia acriticamente al ricorso
È cassabile la sentenza di secondo grado, che, riformando la sentenza di primo grado favorevole al contribuente, non assolve al proprio obbligo motivazionale, anche costituzionale, se rinvia del tutto acriticamente al contenuto del ricorso in appello dell’Amministrazione. Tale motivazione risulta essere del tutto apparente, con la conseguenza che la sentenza è nulla da «error in procedendo», se, pur essendo graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente non idonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ed ipotetiche congetture. In secondo luogo, tale motivazione risulta essere per relationem mediante mera adesione acritica all’atto d’impugnazione, ma senza indicazione né della tesi in esso sostenuta né delle ragioni di condivisione. Pertanto va cassata quella sentenza che relativamente all’elemento indiziario principale usato dall’Amministrazione (calcolo delle bottiglie vendute in asserita evasione d’imposta), la Ctr abbia omesso ogni valutazione circa l’efficacia delle controprove documentali prodotte dal documento (nel caso di specie, il numero di tappi acquistati nell’annualità accertata).
■Cassazione, sentenza 15981/2017
Sì alla notifica via pec del ricorso per Cassazione anche se l’estensione del file non è in «pdf»
Valido il ricorso per cassazione contro una sentenza tributaria se viene notificato a mezzo Pec presso il difensore domiciliatario del contribuente in «estensione.doc» anziché in «formato.pdf». In primo luogo, lo permettono la normativa primaria (articolo 3-bis della legge 53/1994) e la normativa secondaria e relativi provvedimenti attuativi (ministero di Giustizia, 21 febbraio 2011; provvedimento 16 aprile 2014). In secondo luogo, non rileva il tipo di formato inviato cioè «doc» anziché «pdf» nella modalità della posta elettronica certificata per aver comunque tale notifica prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale per essere difesa la controparte con la presentazione del controricorso. In terzo luogo, risulta pertinente un precedente giurisprudenziale di questa Corte perché riguarda il diverso caso delle notifiche a mezzo Pec nel processo avanti al giudice tributario speciale.
■ Cassazione, sentenza 15984/2017
La questione risolta si applica anche ad altri periodi d’imposta
In linea generale, quando due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune di entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile alla statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quello che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo. Nel campo tributario, tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, può anche applicarsi nel principo dell’autonomia dei periodi d’imposta, purché siano presenti altri due requisiti, quello oggettivo riguardante le imposte sui redditi e quello soggettivo riguardante elementi costitutivi della fattispecie d’imposta che si estende ad una pluralità di periodi di imposta, assumendo così carattere tendenzialmente permanente (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria). Va pertanto cassata quella sentenza che non abbia tenuto conto come i maggiori valori iscritti in bilancio, per effetto dell’imputazione del disavanzo da annullamento derivante dall’incorporazione della società controllata, godessero del corrispondente affrancamento dell’imposta facendo così concorrere le quote di ammortamento dell’avviamento (circa 411mila per il 2003) alla formazione del proprio reddito come componente negativa, dovendosi così rigettare la tesi dell’Amministrazione secondo cui l’affrancamento del disavanzo sarebbe possibile solo nell’ipotesi in cui il soggetto cedente la partecipazione, poi annullata in sede di fusione, abbia assoggettato a tassazione la plusvalenza.
■Cassazione, sentenza 16064/2017
Iva sugli interessi pagati dal debitore se manca l’inadempimento e/o il credito non è certo
Gli interessi riconosciuti dal debitore in sede transattiva a favore del creditore hanno natura compensativa e non moratoria e sono da assoggettarsi a Iva quali accessori dell’obbligazione principale se, oltre a non sussistere alcun inadempimento contrattuale, manca altresì la certezza valutativa dell’importo del credito controverso che potenzialmente impedisce al creditore di richiedere la messa in mora del debitore. Nel caso di specie i due soggetti, che pure avevano reso le proprie prestazioni a favore di una società consortile, vantavano una pretesa che avrebbe richiesto la preventiva soluzione di una questione valutativa e dunque gli interessi poi addebitati alla società consortile nel successivo accordo transattivo sono stati regolarmente assoggettati a Iva.
■Cassazione, sentenza 16172/2017
SOCIETÀ E BILANCI
Bancarotta per distrazione in caso di mancata salvaguardia dell’avviamento
Anche se la valutazione dell’avviamento, trattandosi di intangibles, comporterebbe l’anticipazione in bilancio di utili futuri conseguibili in base all’espansione e al consolidamento dei fattori che lo generano e anche se l’impossibilità della sua distrazione potrebbe limitarsi al caso in cui siano stati contestualmente oggetto di disposizione l’azienda e/o i fattori in grado di generarlo, in caso di fallimento può ugualmente essere contestata all’amministratore la bancarotta per distrazione in caso di sua mancata conservazione, per evidente lesione procurata alla garanzia patrimoniale a tutela dei creditori.
■ Cassazione, sentenza 31677/2017
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