Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le massime di Cassazione: ristrutturazione, fallimento e responsabilità del commercialista

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di Luca Benigni, Ferruccio Bogetti e Gianni Rota

Al termine della convivenza il convivente che ha beneficiato dei lavori di ristrutturazione della casa comune è tenuto a pagarne la metà all’altro convivente che le ha sostenute interamente. Benefici connessi all’adozione della procedura di concordato in continuità senza ricadute sui reati fallimentari di tipo distrattivo. Atti solutori autonomamente revocabili in caso di fallimento anche senza la revoca dei mandati sottostanti. Facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto in corso di esecuzione legittima soltanto in caso di sua persistente pendenza. Il Commercialista concorre alla violazione tributaria commessa dall’imprenditore quando è consapevole ispiratore del modello di evasione. Sono i temi della rassegna delle massime delle principali pronunce di Cassazione in ambito tributario e societario dell'ultima settimana.

Le spese di ristrutturazioni da dividere tra ex conviventi

È legittima la restituzione al convivente che le ha sostenute interamente della metà delle spese riguardanti i lavori di ristrutturazione della casa comune al termine della convivenza. Questo in quanto nel corso della convivenza l’esborso sostenuto da uno solo dei due conviventi per la ristrutturazione della casa comune è sempre da ritenersi estraneo alle spese di condivisione della vita quotidiana e pertanto il loro mancato parziale ricupero al termine della convivenza configura indebito arricchimento del convivente che ne ha beneficiato.

Cassazione, sentenza 21479/2018


Reati fallimentari da punire anche in caso di concordato

Anche se l’introduzione dell’articolo 186-bis della Legge Fallimentare recato dal Dl 83 del 22 giugno 2012 ha apportato benefici legati all’adozione del concordato preventivo in continuità, tale novella non dispiega alcun effetto sulla portata del precetto penale di cui all’articolo 236 della stessa Legge Fallimentare. Questo in quanto non è ipotizzabile alcuna volontà del legislatore di ritagliare un’area di impunità per le condotte distrattive poste in essere prima dell’ammissione o nel corso della procedura di concordato preventivo in continuità, atteso che per la predetta procedura valgono le medesime condizioni del concordato ordinario (liquidatorio) e le differenze si riferiscono soltanto alla disciplina civilistica di dettaglio, funzionale alla continuità dell’attività d’impresa.

Cassazione, sentenza 39517/2018


Atti solutori autonomamente revocabili in caso di fallimento

È revocabile l’utilizzo da parte della banca delle somme incassate dai terzi per estinguere il debito della società mandante poi fallita perché non rileva che, per sottrarsi alla revocatoria, essa affermi che il mandato all’incasso ricevuto sia coevo al sorgere del rapporto obbligatorio. Questo in quanto gli atti solutori sono sempre autonomamente revocabili in base all’articolo 67 della Legge Fallimentare indipendentemente dalla revocabilità del mandato sottostante a patto che sia stata preventivamente esperita l’indagine sulla funzione effettiva del negozio utilizzato dall’impresa fallita nei confronti della banca.

Cassazione, ordinanza 21694/2018


Il curatore può sciogliersi dal contratto in caso di sua persistente pendenza

La facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto non del tutto eseguito presuppone che questo sia ancora pendente alla data di dichiarazione del fallimento. Questo in quanto, se a seguito dell’accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto in un momento antecedente alla dichiarazione di fallimento viene sancita la risoluzione di diritto del rapporto obbligatorio, il curatore perde la propria legittimazione.

Cassazione, ordinanza 21695/2018


Il commercialista concorre alla violazione tributaria dell’imprenditore

Il commercialista può essere chiamato a rispondere a titolo di concorso per la violazione tributaria commessa dal cliente quando ciò avviene in modo seriale, con l’elaborazione e commercializzazione di modelli di evasione dei quali egli sia consapevole ispiratore della frode, anche se poi il beneficio conseguito ricade unicamente sul cliente. Tuttavia l’imprenditore, che pone in essere la frode, non può mai andare esente da responsabilità, soprattutto laddove non sia poi in grado di dimostrare la sua estraneità al progetto criminoso che intende scaricare sul Commercialista.

Cassazione, sentenza 40100/2018

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