Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: registro, transfer pricing e accise

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di Ferruccio Bogetti e Filippo Cannizzaro

Anche il badwill entra nel calcolo del valore di cessione aziendale ai fini del registro. Non è donazione l’assegnazione di beni tramite costituzione di un fondo patrimoniale in epoca posteriore alla successione. Validi gli indicatori Ebit e Moc nel transfer pricing (transazioni infragruppo). Accise in misura agevolata sul Gpl ma solo dopo la “denaturazione”. Spetta il rimborso Ici alla cooperativa per i fabbricati rurali e ciò a prescindere dalla classificazione catastale. Per la pertinenza dell’abitazione principale va dimostrata l’effettiva destinazione. Con Iva le prestazioni del medico veterinario alle aziende pubbliche di servizi alla persona (Asp). Sono questi gli argomenti trattati dalla rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.

Imposta di registro, anche il badwill entra nel calcolo del valore di cessione

Nella valutazione del ramo d'azienda ceduto, il metodo della «capitalizzazione del reddito» comprende tutte le componenti che influenzano la capacità produttiva e reddituale della stessa ed è, pertanto, maggiormente rappresentativa della realtà aziendale rispetto al metodo misto «patrimoniale-reddituale» basato sul margine operativo lordo (mol). Il primo metodo tiene conto di tutti i fattori che influenzano la capacità produttiva e reddituale dell'azienda, fattori che invece sono esclusi dal secondo metodo. La presenza nel primo metodo di un valore di avviamento negativo non inficia la bontà dello stesso, poiché l’avviamento rappresenta una qualità dell’azienda e influenza il valore della stessa e, quindi, anche la base imponibile su cui calcolare l’imposta di registro. Pertanto va annullata la ripresa della maggiore imposta di registro accertata dall’amministrazione tramite l’utilizzo del metodo patrimoniale-reddituale perché ritenuto più veritiero rispetto al metodo di capitalizzazione. Dal punto di vista sostanziale, è corretta la valutazione fatta dal contribuente tramite il metodo di capitalizzazione reddituale, che ha tenuto conto di fattori quali ammortamenti, imposte, eccetera, che incidono sulla effettiva capacità reddituale dell’azienda, contrariamente al metodo “patrimoniale-reddituale” basato sul mol utilizzato dall’erario il quale, appunto, non tiene conto di tali fattori. Dal punto di vista temporale, la valutazione fatta dal contribuente, su un arco temporale dai tre ai cinque anni, rispecchia maggiormente la realtà aziendale dato che tiene conto della veloce evoluzione tecnologica. Per contro, quella, effettuata su un arco temporale di dieci anni operata dall’amministrazione, non è corretta, perché la valutazione della “vita” (il passato) di un’impresa è diversa dalla valutazione dei suoi rendimenti attesi (il futuro). Né può essere ritenuta non veritiera la valutazione fatta dal contribuente siccome tramite il metodo di capitalizzazione risulta un valore di avviamento negativo (badwill). L’avviamento rappresenta infatti una qualità dell’azienda, e consiste nella capacità di produrre reddito, e quindi influenza il valore della stessa, indipendentemente dal valore positivo o negativo, che va infine ad incidere la base imponibile oggetto della rettifica.

Nel caso in esame, nel 2013 una Srl in liquidazione cede un ramo d’azienda ad un’altra. Nel valutare il ramo oggetto di cessione, le parti utilizzano il metodo di «capitalizzazione del reddito». Con tale metodo il valore dell’azienda risulta essere pari ad oltre 5milioni di euro, a fronte di capitale netto di oltre 7milioni e 600mila euro e con un avviamento negativo di oltre 2milioni e 400mila euro. L’amministrazione ritiene non veritiera la valutazione poiché il valore negativo dell’avviamento risulta essere in contrasto con la realtà aziendale. Conseguentemente utilizza il metodo patrimoniale reddituale ottenendo il valore dell’avviamento di oltre 7,5 milioni ed un valore complessivo aziendale di oltre 15,2 milioni di euro, e su tale base calcola la maggiore imposta di registro pretesa tramite accertamento notificato ad entrambe le parti e da queste prontamente impugnato. Ma secondo la società un valore dell’avviamento negativo non osta alla veridicità del metodo applicato.

Ctr Lombardia, sentenza n. 2057/18/18


Non è donazione assegnare, dopo la successione, i beni in un nuovo fondo

Nelle volontà testamentarie, l’indicazione di beni determinati, ovvero il complesso di beni da assegnare ai soggetti designati quali eredi, non esclude che la successione sia a titolo universale, perché risulta chiara la volontà del testatore di assegnare tali beni come quota del patrimonio. E tale schema negoziale non “nasconde” una donazione tra gli eredi se l’assegnazione si concretizza con la costituzione di un fondo patrimoniale in epoca posteriore alla successione. Pertanto, qualora gli eredi designati siano il coniuge e il figlio, è illegittima la ripresa erariale, concernente le maggiori imposte ipotecarie e catastali, fondata sul fatto che l’intestazione di tutti gli immobili al figlio, in sostanza, comporta una donazione del 50% degli stessi da parte del coniuge superstite in favore del figlio stesso.
In particolare, è valida la tesi degli eredi, secondo cui:

• il de cuius ha indicato chiaramente che gli eredi sono la moglie e il figlio, e ciò in aderenza al cosiddetto «institutio ex re certa» disciplinato dall’articolo 588 del Codice civile, il quale dispone che l’individuazione dei beni determinati non esclude che la disposizione sia a titolo universale, a condizione che sia chiara la volontà del testatore di assegnare i beni come quota del patrimonio;

• la circostanza, che l’assegnazione si sia “concretizzata” con la costituzione di un fondo patrimoniale dopo l’accettazione dell’eredità, implica solamente un vincolo di destinazione ai quei beni, la cui nuda proprietà è già attribuita al figlio, ovvero, in altri termini, la costituzione del fondo patrimoniale non ha efficacia traslativa di diritti reali.

È errata la tesi dell’amministrazione che ha mal interpretato l’articolo 588 del Codice civile e, quindi, le volontà espresse dal de cuius nel testamento olografo, per aver sostenuto che la volontà del testatore sia stata quella di assegnare elementi distinti e separati del proprio patrimonio in favore degli eredi, e che la costituzione del fondo patrimoniale è quindi equiparabile alla costituzione di una rendita a titolo gratuito e quindi soggetta alla relativa imposta.

Nel caso in esame, un contribuente redige il testamento olografo ed indica, quali eredi, moglie e figlio. Nello stesso atto manifesta la volontà della costituzione di un fondo patrimoniale, dopo l’accettazione dell’eredità, attraverso il quale tutti gli immobili vengono assegnati al figlio e alla nuora, mentre alla moglie vengono assegnati denaro, titoli e il diritto di usufrutto sull’appartamento presso cui vivono. Tale testamento viene pubblicato dal Notaio incaricato nel novembre 2016 e in seguito viene presentata la dichiarazione di successione. L’amministrazione riqualifica la successione come “donazione” del 50% degli immobili dalla madre al figlio e ricupera maggiori imposte di ipotecaria e catastale per oltre complessivi 19mila euro, ivi incluse le sanzioni tramite avviso notificato al notaio ed agli eredi che si oppongono con ricorso depositato nell’aprile 2017. Essi sostengono l’illegittimità della pretesa, atteso che non vi è alcuna donazione dato che l’assegnazione di beni determinati non esclude che la disposizione testamentaria sia a titolo universale.

Ctp Como, sentenza n. 67/4/18


Validi gli indicatori Ebit e Moc nel transfer pricing

In tema di transazioni di transfer pricing, cioè dei cosiddetti prezzi praticati nelle transazioni infragruppo, è da ritenersi congruo il prezzo la cui valutazione è stata attuata in base al cosiddetto «principio di libera concorrenza» in maniera conforme alle linee guida Ocse, tramite l’utilizzo degli indicatori Ebit (margine rispetto al valore della produzione) e Moc (margine rispetto ai costi della produzione). Il prezzo praticato deve essere, altresì, ritenuto congruo, se ricade nel cosiddetto “intervallo” (range) di valori stabiliti dall’Ocse. In particolare, a livello normativo, ai sensi dell’articolo 59 del Dl 50/2017, la valutazione, da attuare nella disciplina del transfer pricing, è quella della libera concorrenza. Poi, dal punto di vista pratico, deve ritenersi congrua quella valutazione fatta col metodo cosiddetto «Transactional net margin method» (Tnmm) fondato su indicatori di profitto e che consente di individuare il margine utile realizzato nelle transazioni tramite due «tipologie di margine», definite Ebit e Moc, essendo questi due indicatori suggeriti dall’Ocse. E il risultato ottenuto, tramite tale valutazione, è valido se i prezzi praticati ricadono nel cosiddetto «range interquartile» individuato dalle linee guida Ocse. Pertanto va annullato l’accertamento erariale se l’amministrazione non accetta l’utilizzo degli indicatori “Ebit” e “Moc”.

Nel caso in esame, una Srl effettua transazioni con società estere appartenenti al medesimo gruppo negli anni 2013 e 2014. L’amministrazione non ritiene congrui i prezzi praticati nelle transazioni e ricupera, per l’anno 2014, maggiori componenti positivi per oltre 2milioni e 500mila euro, cui consegue una maggiore Ires per oltre 703mila euro e Irap per oltre 120mila euro, tramite accertamento notificato nel luglio 2017. Ma secondo la contribuente i prezzi praticati sono stati valutati secondo le linee guida Ocse e risultano altresì conformi alle nuove disposizioni legislative che prevedono che la valutazione vada fatta in base al cosiddetto «“principio di libera concorrenza».

Ctp Varese, sentenza 129/2/201 8


Accise in misura agevolata sul Gpl ma solo dopo la “denaturazione”

Il contribuente che importa gas di petrolio liquefatto (Gpl) ad uso combustione, può pagare le accise in misura agevolata solamente se procede alla cosiddetta «denaturazione» del combustibile, procedura che consente la tracciabilità del prodotto denaturato. Ovvero se il carburante importato è già stato denaturato “ab origine” dal mittente, e tale circostanza deve risultare dalla documento E-AD in sede doganale, ossia dalla lettera di vettura, che individua tramite nomenclatura l’importazione di carburante denaturato. Pertanto è legittimo il recupero delle maggiori accise doganali riferite all’importazione di Gpl in capo alla società importatrice se dalla lettera di vettura risulta che la nomenclatura del prodotto si riferisce a combustibile non denaturato.

Nel caso di specie, una spa importa il GPL negli anni 2011 e 2013 per uso combustione. In sede doganale, la contribuente dichiara che il prodotto è stato già oggetto di denaturazione nel deposito del mittente e paga le accise in misura agevolata. Tuttavia, a seguito di verifica, i funzionari rilevano che la lettera di vettura riporta codice di nomenclatura riferita a GPL non denaturato e redigono il Pvc che notificano alla contribuente nell’ottobre 2013, a cui segue l’avviso di pagamento notificato nel febbraio 2014 attraverso il quale l’Ufficio doganale ricupera maggiori accise per oltre 66mila euro.

Ctr Lazio, sentenza n. 2604/1/18


Spetta il rimborso Ici alla cooperativa per i fabbricati rurali

L’immobile effettivamente utilizzato come strumentale per l’esercizio di attività agricole, va sempre qualificato come rurale, a prescindere dalla sua classificazione catastale. Tale classificazione spetta di diritto se il soggetto proprietario del bene ha presentato nei termini la domanda di variazione catastale, come previsto dalla normativa di riferimento. Pertanto spetta il rimborso dell’Ici indebitamente versata sugli immobili di fatto qualificabili come rurali. Nello specifico, non è valida la tesi sostenuta dall’ente locale secondo cui il rimborso Ici relativo agli immobili non spetta siccome questi non risultano accatastati nelle categorie A/6 (abitazione di tipo rurale) ovvero D/10 (fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole).

Per contro, è valida la tesi della cooperativa:

• a livello sostanziale, non va assoggettato ad Ici l’immobile che sia funzionale all’attività agricola, ossia destinato alla manipolazione, trasformazione, valorizzazione, e commercializzazione di prodotti agricoli, a prescindere dalla classificazione catastale. Tale tesi infatti è stata avvallata con la nota protocollo 10933 del 2010 dell’agenzia del Territorio, secondo la quale il bene, che soddisfa i requisiti di ruralità stabiliti dall’articolo 9 del Dl 557 del 1993, va qualificato come tale e non rileva la classificazione catastale;

• a livello procedurale, la società ha presentato nei termini apposita istanza di variazione catastale, così come previsto dall’articolo 7, comma 2-bis del Dl 70 del 2011, entro il 30 settembre 2012, secondo cui, per ottenere il riconoscimento della ruralità degli immobili, i soggetti interessati devono per appunto presentare domanda di variazione della categoria, con efficacia retroattiva di cinque anni.

Nel caso in esame, una cooperativa agricola, nel dicembre 2009, presenta istanza di rimborso Ici relativa alle annualità dal 2004 al 2007 per oltre 61mila euro, poiché ritiene di aver erroneamente versato l’Ici su immobili aventi caratteristiche rurali. Il Comune rigetta nel 2010 l’istanza poiché gli immobili non sono accatastati nelle categorie A/6 (abitazioni rurali), o D/10 (fabbricati connessi all’attività agricola). La contribuente impugna il diniego e presenta nell’aprile 2012 apposita istanza di variazione catastale all’agenzia del Territorio.

Ctr Sardegna, sentenza n. 267/4/18


Per la pertinenza dell’abitazione principale va dimostrata la destinazione

Al fine di usufruire dell’esenzione Ici-Imu per l’immobile ritenuto pertinenza della prima casa, il contribuente deve dimostrare che il bene sia stato effettivamente posto a servizio ed ornamento dell’abitazione principale. Pertanto non spetta l’agevolazione qualora il contribuente si limiti ad asserire la sussistenza del vincolo pertinenziale, a maggior ragione se il bene che risulta ancora classificato come “annesso rustico”. Dal punto di vista normativo, in base alle norme del Codice Civile, il vincolo di pertinenzialità deve emergere da elementi fattuali, rappresentato dall’effettiva destinazione del bene posto a servizio e/o ornamento dell’abitazione principale. Dal punto di vista probatorio, incombe al contribuente dimostrare che il bene abbia i requisiti di pertinenza. Se l’immobile, originariamente a destinazione agricola, ha perso tale caratteristica a seguito di inserimento nel Piano Regolatore Generale (PRG), non può più essere classificato come pertinenza. A a maggior ragione se il bene continua ad essere ancora classificato come annesso rustico.

Nel caso in esame, una contribuente è proprietaria di un immobile rurale strumentale, annesso alla casa di abitazione, per la conduzione di fondo rustico. Successivamente l’immobile viene accatastato al Catasto Edilizio Urbano e viene inserito nel Piano Regolatore Generale del Comune. In seguito il bene viene diviso in due unità entrambe di categoria C/2 (“Magazzini e locali di deposito”) e la contribuente presenta denuncia di variazione nel giugno 2013. Poi, nel giugno 2014, presenta la dichiarazione Imu in cui attesta che una delle due unità appartenenti alla categoria C/2, per l’anno 2013, deve considerarsi come pertinenza dell’abitazione principale. Ma nell’ottobre 2016 il Comune notifica le gavvisi Ici per gli anni 2010 e 2011, ed IMU, per gli anni 2012 e 2013. Ma l’immobile non può essere considerato pertinenza in quanto la contribuente ha dimostrato che il bene è posto a servizio dell’abitazione principale e poi perché la destinazione d’uso è rimasta quella di annesso rustico.

Ctp Treviso, sentenza 142/2/2018


Vogliono l’Iva le prestazioni del veterinario alle Asp

Le prestazioni veterinarie, rese dal medico veterinario su incarico dall’Asp (Aziende pubbliche di servizi alla persona) in maniera “autonoma”, non sono esenti dall’Iva, perché tali prestazioni non sono rese in un contesto avente finalità di generale tutela della salute pubblica.

Ciò lo si ricava dalla corretta ricostruzione della normativa di riferimento:

• ai sensi dell’articolo 10, numero 18, del Dpr 633 del 1972, sono esenti da Iva le prestazioni mediche e paramediche rese nei confronti delle persone;

• sono, altresì, esenti da imposta, le prestazioni veterinarie rese dalle aziende sanitarie locali in un contesto con finalità di generale interesse di salute pubblica. E ciò avviene quando l’Asl presta servizio di “pubblica autorità” avvalendosi di propri dipendenti e non di professionisti esterni, non titolari di poteri di controllo e vigilanza come si evince dall’articolo 14 della legge 833 /1978 e dalla legge 502/1992. Pertanto è valido l’accertamento dell’amministrazione attraverso il quale viene ricuperata l’Iva non esposta sulle fatture emesse dal veterinario in favore dell’Asp, relativa alle prestazione da questo rese erroneamente in esenzione d’imposta.

Nel caso in esame, un’Asp stipula un contratto di collaborazione con un medico veterinario. Il professionista emette nel 2007, nei confronti dell’ente, fatture esenti da Iva, siccome ritiene che il contratto rientra in un progetto di tutela della salute pubblica. L’amministrazione controlla la relativa dichiarazione fiscale e gli recupera oltre 4mila euro.

Ctr Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, sentenza n. 1900/7/18

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