Controlli e liti

Fondazione commercialisti: l’evasione diffusa è a 34 miliardi

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di Saverio Fossati

Tutti evasori? Non proprio ma quasi. L’indagine della Fondazione nazionale dei commercialisti, presentata ieri mira a dimostrare che anche i lavoratori dipendenti collaborano attivamente a formare la cifra mostruosa di 107 miliardi di euro di evasione fiscale e contributiva, indicata nella relazione 2017 del Mef. Nell’indagine, intitolata “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”, la prima osservazione deriva da una revisione operata dall’Istat sulla stima dell’economia sommersa e di quella illegale, che ora si attesta a 207 miliardi(il 12,6% del Pil). Ed è con il dato Istat che si misura la Relazione allegata alla Nota di aggiornamento al Def 2017, che quantifica l’evasione, appunto, in 107,7 miliardi (di cui 10,7 per contributi e 92,7 per imposte e tasse).

In base all’allegato al Def l’evasione da parte di lavoratori autonomi e società è di 30,7 miliardi per l’Irpef e 35,8 miliardi per l’Iva, e la propensione al gap fiscale è del 66 per cento. Questo significherebbe, spiegano i commercialisti, che i due terzi dell’Irpef a carico di autonomi e imprese (le “partite Iva”) sarebbero evasi. Tuttavia i commercialisti richiamano l’attenzione su alcuni dati: i dipendenti sono l’83% dei contribuente e pagano l’82% dell’Irpef; inoltre, il reddito medio di un dipendente è 5.290 euro e quello di un libero professionista di 15.620 euro, cioè il triplo. Non solo. Gli imprenditori soci di società di capitali sono esclusi dalle statistiche in quanto percettori di dividendi, la cui media assoggettata a Irpef è di ben 38.460 euro, o di compensi come amministratori (assimilati al lavoro dipendente). La Relazione indica quindi in 15 miliardi l’evasione riconducile al lavoro dipendente irregolare (Irpef e contributi) e in 58,4 miliardi quella riconducibile al “popolo delle partite Iva” per imposte dirette e Iva su consumi intermedi. Ma è soprattutto sul tema dell’evasione Iva che i commercialisti costruiscono il loro ragionamento sulla quasi generalizzata tendenza al cercare di pagare, illegittimamente, meno imposte.

I 35,8 miliardi del periodo 2012-2014 e i 34,8 del 2015 stimati dal Mef si avvicinano molto agli importi indicati dalla Commissione Ue (35,1 miliardi nel 2015), con una propensione al gap fiscale che è altissima, intorno al 25,8% (la media Ue è il 12,77%), superata solo da Romania, Slovacchia, Grecia e Lituania. Ma la Relazione del Mef, sottolineano i commercialisti, parla di 8,4 miliardi evasi per mancato versamento e di ben 26,4 per mancata fatturazione: quindi i tre quarti dell’evasione Iva riguarda il sommerso vero e proprio. E dato che il 72,9% delle transazioni Iva si realizza con persone fisiche, la stessa percentuale di quei 35 miliardi di evasione Iva va attribuita alle transazioni con persone fisiche. Ed è qui, sottolineano i commercialisti, il cuore del problema: la mancata fatturazione (o il mancato scontrino), in pieno accordo con il consumatore, finale, produce 26,3 miliardi di Iva non versata. E, a cascata, l’evasione Irpef per il mancato reddito dichiarato: su 122 euro Iva compresa, 22 li risparmia il consumatore e circa 25-30 il venditore o fornitore.

A questa voce “trasversale”, cioè attribuibile a tutte le tipologie di contribuenti e non solo agli autonomi, si aggiunge quella di Imu, canone Rai (ormai minima) e affitti, per circa 7,4 miliardi. Si arriva così all’evidenza di un importo di ben 34,3 miliardi, frutto, semplicemente, della scelte di evadere .

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