Gioielli ceduti senza data certa: resta la presunzione di ricavi
La scrittura privata priva di data certa non è in grado di superare la presunzione propria delle indagini finanziarie, nonostante la coincidenza tra la tempistica dei pagamenti e gli incassi risultanti dagli estratti conto; con questa motivazione, la Ctp di Milano, con sentenza 5078/3/2017 (presidente Locatelli, relatore Chiametti), ha confermato un accertamento emesso a carico di una contribuente, il cui conto corrente aveva formato oggetto di indagine da parte del Fisco.
Il caso nasce dall’invio di un questionario, con il quale l’Agenzia aveva chiesto spiegazioni in merito ad alcuni versamenti di importo rilevante, non transitati dalla dichiarazione dei redditi che – per quell’anno – non era stata presentata.
Dopo un’iniziale richiesta di rinvio, a distanza di più di un anno la contribuente – per il tramite del proprio difensore – presentava, comunque, la documentazione richiesta, rappresentata da una scrittura privata attestante la vendita di preziosi (accompagnata dalla relativa certificazione gemmologica), a fronte della quale erano avvenuti gli incassi.
L’ufficio, tuttavia, aveva disconosciuto quelle prove, ritenendole inidonee a vincere la presunzione legale prevista dall’articolo 32 del Dpr 600/73; in particolare, a detta dell’Agenzia la mancanza di data certa impediva di provare la non imponibilità delle somme, che pertanto, risultavano non dichiarate.
Seguiva, così, l’accertamento, con il quale venivano recuperati a tassazione gli incassi ritenuti ingiustificati, che, secondo la tesi del Fisco, avrebbero dovuto essere dichiarati quali redditi diversi.
In sede di ricorso, tuttavia, la contribuente ribadiva la propria tesi difensiva, in base alla quale la scrittura privata, attestante la compravendita dei preziosi, sarebbe risultata sufficiente a dimostrare la provenienza delle somme, come richiesto dalla norma. Quanto all’onere probatorio, veniva contestata la stessa valenza presuntiva delle movimentazioni bancarie, dal momento che, secondo la difesa, non vi era nemmeno certezza della natura finanziaria delle indagini, che avevano dato origine all’accertamento.
Nella propria difesa, l’agenzia delle Entrate, nel rilevare l’omissione della dichiarazione dei redditi, aveva – invece – ribadito come, a suo dire, la contribuente non avesse assolto all’onere della prova su di essa incombente, essendo stata prodotta una scrittura privata non autenticata e priva di data certa.
I giudici milanesi, dopo avere accolto la richiesta di sospensione dell’accertamento, hanno confermato l’impianto “accusatorio” del Fisco. Il collegio, in particolare, dopo aver posto l’accento sulla mancanza di data certa della scrittura privata, ha ritenuto inverosimile la mancanza di garanzie a supporto dell’operazione, che, anche per questo, risultava inattendibile così come prospettata dalla contribuente, rigettando il ricorso.
Va segnalato come la sentenza si collochi, a pieno titolo, nel solco tracciato dalla Cassazione, la quale ha evidenziato che il contribuente è sempre tenuto a provare analiticamente la non imponibilità dei versamenti (ordinanza 22395/17).
Ctp Milano sentenza 5078/3/2017