Adempimenti

Giro di vite sulla mobilità internazionale nel lavoro

Tassazione del reddito: per l’Entrate i problemi possono essere risolti solo sulla base di accordi tra gli Stati e incondizioni di reciprocità

di Michela Magnani

I problemi legati alla tassazione del reddito dei lavoratori in mobilità internazionale, che derivano dai lockdown introdotti dagli Stati in conseguenza dell’epidemia da Covid 19, secondo l’Agenzia possono essere risolti solo sulla base di accordi tra gli Stati e in condizioni di reciprocità. A livello internazionale l’Ocse, con nota del 3 aprile 2020, ha fornito linee guida su come affrontare le conseguenze fiscali che derivano dalla presenza delle persone in uno Stato rispetto a quella precedentemente programmata.

Per quanto riguarda la tassazione dei lavoratori in mobilità internazionale, poiché ai sensi dell’articolo 15 delle convenzioni, per evitare le doppie imposizioni un soggetto è tassato nel luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, l’Ocse esorta gli Stati ad assumere un atteggiamento flessibile che tenga conto dell’eccezionalità della situazione e che, possibilmente, mitighi o annulli, le conseguenze sulla tassazione dei giorni lavorativi trascorsi in uno Stato diverso rispetto a quello precedente alla pandemia ovvero stabilito nel contratto di lavoro. L’approccio viene ribadito anche nell’aggiornamento a tale nota del 21 gennaio scorso.

Tenendo conto dell’orientamento dell’Ocse, in questi mesi alcuni Stati (tra cui Irlanda, Australia, Grecia, Stati Uniti e Uk) hanno previsto che, ai fini del pagamento delle imposte, le rispettive amministrazioni, in fase di accertamento e dietro apposita documentazione, terranno in debita considerazione l’eccezionalità dell’attuale situazione e, per quanto possibile, ignoreranno le permanenze conseguenti alle restrizioni dovute dalla pandemia.

Su tale tema, il ministero delle Finanze, con la risposta del 3 dicembre 2020 conferma di condividere l’approccio del segretariato Ocse e ricorda che l’Italia ha già concluso accordi amministrativi interpretativi delle disposizioni contenute nell’articolo 15 (lavoro subordinato) delle convenzioni siglate con Austria, Francia e Svizzera finalizzati a neutralizzare le conseguenze fiscali delle misure di restrizione alla movimentazione della persona dovute alla crisi Covid.

Nel corso di Telefisco è stato chiesto all’Agenzia di chiarire se gli stessi principi previsti in tali accordi possano essere estesi a tutte le situazioni in cui lavoratori residenti o non residenti fiscalmente in Italia, durante il periodo emergenziale, abbiano svolto la loro attività lavorativa in remote working dall’Italia anziché all’estero. L’Agenzia evidenzia la diversità degli accordi già sottoscritti, dopo aver confermato che gli accordi citati sono tesi a neutralizzare le conseguenze fiscali delle misure di restrizione alla movimentazione delle persone dovute al Covid sia nei confronti dei dipendenti residenti in uno Stato contraente e che lavorano abitualmente nell’altro Stato contraente sia nei confronti dei frontalieri.

Infatti, mentre gli accordi con la Francia e la Svizzera, richiamando il paragrafo 4 dell’articolo 15 relativo ai frontalieri e il paragrafo 1 dello stesso articolo delle rispettive convenzioni, tutelano anche la generalità dei dipendenti residenti di uno Stato che svolge l’attività lavorativa nell’altro Stato contraente, l’accordo con l’Austria è circoscritto al paragrafo 4 e inteso a tutelare solo le posizioni dei lavoratori frontalieri.

Il principio di carattere generale contenuto nella risposta dell’Agenzia in base al quale, in presenza di norme convenzionali che disciplinano le diverse fattispecie non si possa ricorrere, nell’applicazione di un accordo, a principi analogico–interpretativi, sembrerebbe impedire agli operatori di estendere la neutralizzazione delle conseguenze fiscali dovute alle restrizione alla movimentazione delle persone a fattispecie diverse rispetto a quelle regolamentate. Da tale approccio dovrebbe conseguire che, al di fuori dei casi riguardanti Francia, Svizzera e Austria, per i soli frontalieri sconti le imposte nel nostro Paese anche il soggetto italiano, residente all’estero, dipendente di una società estera o distaccato all’estero che, dopo essere rientrato in Italia con la sua famiglia nel 2020 sia stato costretto a lavorare dall’Italia in remote working per più di 183 giorni. Analogamente, si ritiene che non possano essere considerate come “giornate estere” i giorni di lavoro svolti dall’Italia per il proprio datore di lavoro straniero dal dipendente che, se non ci fossero state le restrizioni Covid, nel 2020 sarebbe stato tassato sulle retribuzioni convenzionali previste dall’articolo 51, comma 8-bis del Tuir.

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