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Gli errori nella versione italiana della direttiva Ue 2019/1995

Ecco le incongruenze legate a una non perfetta traduzione del testo in lingua inglese

di Francesco D'Alfonso

A una lettura attenta della versione italiana della direttiva Ue 2019/1995, pubblicata nella «Gazzetta Ufficiale» del 2 dicembre 2019 e finalizzata, congiuntamente alla direttiva 2017/2455/Ue, alla modernizzazione, a partire dal 1° gennaio 2021, del quadro giuridico Iva per il commercio elettronico transfrontaliero da impresa a consumatore (B2C), è possibile riscontrare delle incongruenze rispetto ai principi alla base della stessa, legati ad una non perfetta traduzione del testo in lingua inglese, quest’ultima costituente lingua ufficiale nell’ambito delle istituzioni europee.

L’applicazione e il recepimento di tale direttiva da parte dei singoli Stati membri sono state recentemente posticipate al 1° luglio 2020, ad opera della decisione del Consiglio della Ue, del 20 luglio 2020, adottata a seguito dell’emergenza legata alla pandemia di Covid-19.La direttiva 2019/1995, in particolare, interviene a disciplinare l’applicazione della disposizione, introdotta dalla direttiva 2017/2455, che prevede che, se un soggetto passivo facilita, tramite l’uso di un’interfaccia elettronica, quale un mercato virtuale (marketplace), una piattaforma, un portale o altri mezzi analoghi, le vendite a distanza di beni importati da territori terzi o Paesi terzi con spedizioni di valore intrinseco non superiore a 150 euro o le cessioni di beni effettuate nella Comunità da un soggetto passivo non stabilito nella Ue a una persona che non è un soggetto passivo, si considera che lo stesso soggetto passivo che facilita la vendita o la cessione abbia ricevuto e ceduto detti beni.

Ciò è avvenuto, nello specifico, sia imputando la partenza della spedizione o il trasporto dei beni alla cessione effettuata dal soggetto passivo che facilita l’operazione sia considerando la cessione effettuata nei confronti di tale ultimo soggetto una operazione esente da Iva ma con diritto alla detrazione della relativa imposta.

La direttiva 2019/1995 stabilisce inoltre che, per le riportate cessioni di beni realizzate attraverso l’uso di un’interfaccia elettronica nella Ue da un soggetto non stabilito nella Comunità a consumatori finali, un soggetto passivo che facilita, tramite l’uso di tale interfaccia, la cessione può utilizzare il «regime speciale per le vendite a distanza intracomunitarie di beni e per i servizi prestati da soggetti passivi stabiliti nella Comunità ma non nello Stato membro di consumo» - Regime Ue Oss (One Stop Shop) - non solo per le vendite a distanza intracomunitarie di beni ma anche per le cessioni di beni a partire dalle scorte detenute in uno Stato membro da detti fornitori extra Ue ad acquirenti nello stesso Stato membro.

Nella versione italiana della direttiva in questione è tuttavia possibile evidenziare delle disposizioni non pienamente conformi ai principi e alle finalità di tale direttiva, in ragione di una non perfetta traduzione della versione in lingua inglese della stessa, la quale potrebbe rendere necessaria una rettifica.

In particolare, l’articolo 1, punto 9), della direttiva 2019/1995, che sostituisce l’articolo 369 bis della direttiva 2006/112/CE (quest’ultimo relativo al regime Ue Oss), nel definire la nozione di “Stato membro di consumo” individua come tale, «nel caso delle vendite a distanza intracomunitarie di beni, lo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni a destinazione dell’acquirente».

Ciò, tuttavia, in difformità con le regole da sempre previste per questa tipologia di operazione e con quanto disposto dalla direttiva 2006/112 (cfr. in particolare articolo 33, come sostituito dalla direttiva 2017/2455) nonché con la versione in lingua inglese della stessa direttiva 2019/1995, la quale, relativamente a tale nozione, riporta chiaramente che per queste operazioni lo «Stato membro di consumo» coincide con lo Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto dei beni a destinazione dell’acquirente e non con quello di partenza di questi ultimi.

Sempre per quanto concerne la definizione di «Stato membro di consumo» (cfr. articolo 369 bis della direttiva 2006/112, come sostituito dalla direttiva 2019/1995), in questo caso tuttavia riferito alle cessioni nazionali di beni mediante l’uso di un’interfaccia, la direttiva 2019/1995 considera tale «nel caso delle cessioni di beni effettuate da un soggetto passivo che facilita dette cessioni in conformità dell’articolo 14 bis, paragrafo 2, se lo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni ceduti è lo stesso, detto Stato membro», attraverso una disposizione che appare subito non chiara.

Tale disposizione, infatti, dovrebbe in realtà fare riferimento alle cessioni mediante interfaccia laddove la spedizione o il trasporto dei beni ceduti inizia e termina nello stesso Stato membro, nel qual caso detto Stato membro corrisponde a quello di consumo, come evidente alla luce di quanto riportato in precedenza nonché della versione in lingua inglese della disposizione.

Tale ultima non conforme definizione, tra l’altro, viene poi ripresa successivamente nell’ambito della direttiva 2019/1995, in relazione all’individuazione del contenuto della dichiarazione Iva a partire dal 2021 (articolo 1, punto 13), della direttiva 2019/1995, che sostituisce l’articolo 369 octies, paragrafi 1, 2 e 3 della direttiva 2006/112).