Holding finanziarie, fisco e bilancio disallineati
A seguito dell’introduzione nel Tuir della nuova definizione di intermediari finanziari, le società holding finanziarie in conto proprio qualificabili come «società di partecipazione finanziaria» rischiano di dover riclassificare il proprio bilancio secondo lo schema del decreto Banca d’Italia per poter calcolare correttamente l’Irap.
Il Dlgs 142/18, di recepimento della direttiva Atad, ha introdotto nel nuovo articolo 162-bis del Tuir la definizione di società di partecipazione finanziaria, per tali intendendosi i soggetti che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in intermediari finanziari.
Tali soggetti (holding finanziarie), che non svolgono attività nei confronti del pubblico, non sono iscritti in alcun albo a seguito della soppressione dell’elenco di cui all’articolo 113 del Tub e non sono sottoposti ad alcuna forma di controllo, redigono il proprio bilancio ai sensi del Codice civile e del Dlgs 127/91, in quanto espressamente esclusi dall’ambito soggettivo del Dlgs 38/05 e 136/15.
Già il Dlgs 141/10, nel modificare alcune disposizioni del Tub, aveva espunto integralmente l’attività di assunzione di partecipazioni dal regime pubblicistico di vigilanza dettato per gli intermediari finanziari.
In coerenza con tale evoluzione normativa, il Dlgs 136/15 non prevede più per tali soggetti l’obbligo di redigere un bilancio “finanziario” (ad eccezione delle società finanziarie che controllano enti finanziari e delle società di partecipazione finanziaria mista, espressamente menzionate all’articolo 2, comma 1, lettera c), del Dlgs 38/05).
Il comma 2 dell’articolo 162-bis del Tuir detta, per le società di partecipazione finanziaria, il criterio per verificare quando sussiste il requisito della prevalenza nell’assunzione di partecipazioni in intermediari finanziari: quando, in base ai dati del bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio chiuso, l’ammontare complessivo delle partecipazioni in detti intermediari finanziari e altri elementi patrimoniali intercorrenti con gli stessi, unitariamente considerati, è superiore al 50% dell’attivo patrimoniale.
Il decreto di recepimento della direttiva Atad ha proceduto altresì a modificare gli articoli 96, 106 e 113 del Tuir, nonché l’articolo 6 del decreto Irap, prevedendo una diversa disciplina per gli intermediari finanziari da un lato e per le società di partecipazione non finanziaria e soggetti assimilati dall’altro.
Nel farlo, tuttavia, non viene mai fatto riferimento alle società di partecipazione finanziaria (“holding finanziarie”). Ciò posto, deve considerarsi che il nuovo art. 162-bis individua una definizione univoca di intermediario finanziario valida per l’Ires e l’Irap e, per effetto del comma 3, anche per l’addizionale all’Ires.
È inoltre chiaro che, seppur non espressamente menzionate dagli articoli di Legge sopra richiamati, le società di partecipazione finanziaria non possono che rientrare nell’alveo degli intermediari finanziari.
Tale impostazione, qualora letteralmente intesa, rischia di essere foriera di complicazioni per le società holding finanziarie in conto proprio che si trovino ad avere la maggior parte dei propri asset costituito, ad esempio, da partecipazioni in banche, in assenza di controllo o altro accordo di tipo diverso.
Tali società sarebbero da ricomprendere all’interno della categoria delle «società di partecipazione finanziaria» in base all’articolo 162-bis del Tuir pur essendo soggette alle disposizioni del Codice civile e del Dlgs 127/91 in materia di bilancio.
Pertanto, se è vero che a fini delle imposte dirette tali soggetti sono assimilati a intermediari finanziari, oltre a vedersi applicata l’addizionale Ires del 3,5%, essi rischiano di trovarsi nella condizione di dover riclassificare il bilancio secondo lo schema del decreto Banca d’Italia per poter applicare correttamente l’Irap.
In assenza di un chiarimento teso a dirimere la questione, sembrerebbe che ciò che è stato fatto uscire dalla porta, sia poi rientrato dalla finestra.