I documenti salvano la fattura generica
La descrizione può essere «rafforzata» da elementi e prove complementari
In sede di accertamento viene spesso contestata la deducibilità di un costo o la detraibilità dell’Iva assolta sull’acquisto, con la motivazione che la fattura riporta una descrizione eccessivamente generica, tale da mettere in dubbio l’effettività (o comunque l’inerenza) della spesa sostenuta nell'ambito dell’attività d’impresa o di lavoro autonomo.
Il rischio riguarda anche chi emette il documento, perché, secondo un orientamento di diversi uffici talvolta avallato dalla Cassazione, l’omessa – o eccessivamente generica – indicazione in fattura dei dati prescritti dalla legge integra quelle gravi irregolarità contabili che legittimano l’accertamento induttivo, in base all’articolo 39 del Dpr 600/1973.
Gli elementi complementari
Tuttavia, una recente pronuncia della stessa Corte (sentenza 1468/2020) – citando la giurisprudenza di matrice comunitaria (Corte Ue, 15 settembre 2016, causa C-516/14) e un’altra precedente pronuncia (Cassazione 13882/2018) – ricorda che «l’amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dalla direttiva 2006/112/Ce, art. 219, che assimila alla fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale».
È dunque importante, dove possibile, citare in fattura il contratto sottostante (se esiste) e, comunque, mantenere a corredo della spesa sostenuta tutta la documentazione che, per quanto spesso priva di data certa, può dare “sostanza” a una descrizione in sé sintetica e formale riportata dalla fattura di acquisto.
Secondo la Norma di comportamento Aidc 199/2017, dall’esame della giurisprudenza comunitaria emerge con chiarezza che «l’amministrazione finanziaria, una volta che dal contribuente abbia ottenuto ogni documento accessorio, che consenta di accertare che i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti e che non sussiste un “atteggiamento frodatorio” del contribuente, non può imporre limitazioni al diritto del soggetto passivo destinatario della fattura di detrarre l’imposta sull’operazione de-quo».
Requisiti e compilazione
L’articolo 21, comma 2, del Dpr 633/1972 stabilisce che la fattura deve contenere, tra l’altro, le indicazioni riguardanti «natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione» (lettera g) e i «corrispettivi ed altri dati necessari per la determinazione della base imponibile, compresi quelli relativi ai beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono» (lettera h). Ai fini delle imposte sui redditi, i requisiti di certezza, documentabilità e inerenza del costo sostenuto sono “immanenti” nella determinazione del reddito imponibile; e in genere la dimostrazione della sussistenza di tali requisiti è addossata al contribuente che ha dedotto la spesa. Infatti, come affermano le citate sentenze di legittimità (si veda anche Cassazione 29290/2018), è colui che chiede la detrazione dell’Iva o la deduzione del costo a dover dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, di conseguenza, fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’amministrazione ritenga necessari per valutare correttamente la fattispecie. Senza dimenticare che oggi – in tempi di fatture quasi esclusivamente elettroniche trasmesse allo Sdi – non c’è più bisogno di accedere ai locali dell’emittente o del destinatario per conoscere i contenuti.
Altro punto importante: evitare la descrizione delle (pressochè inverosimili) commistioni tra prestazioni assai disparate. In diverse pronunce (ad esempio, 15177/2016 e 21980/2015) la Suprema corte ha affermato che «va da sè, dunque, che un’indicazione generica dell’operazione fatturata – che, come nella specie, accorpi indistintamente in un’unica descrizione attività assai disparate sotto il profilo del loro contenuti, spaziando da attività materiali (trasporto e magazzinaggio), ad attività d’ordine (tenuta contabilità), ad attività a più alto contenuto di professionalità (promozione vendite) e ad attività del tutto generiche (servizi professionali e marketing) – non soddisfa le finalità conoscitive che la norma intende assicurare».
Tutto ciò senza dimenticare che, fuori dallo stretto ambito tributario, la fattura regolarmente compilata rappresenta la prova scritta necessaria per ottenere la tutela del credito in sede giurisdizionale, quale dimostrazione cartolare della sussistenza dell’operazione effettuata, invertendo l’onere della prova sul debitore.
LE PRONUNCE
1. Il valore probatorio
La fattura costituisce un elemento probatorio a favore dell’impresa solo se redatta in base ai requisiti di forma e di contenuto ex articolo 21 del Dpr 633/1972.
Cassazione: sentenze 29290/2018, 9846/2016, 21446 e 14704 del 2014
2. I documenti integrativi
Il Fisco deve tenere conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo.
Cassazione: sentenze 1468/2020 e 29290/2018; ordinanze 13882/2018 e 23384/2017
3. L’assenza del contratto
Quando la fattura è generica ed è insufficiente o assente la documentazione del contratto sottostante, non è assolto l’onere della prova sull’effettiva inerenza della spesa.
Cassazione: sentenze 7231/2016 e 21184/2014
4. La fattura «multipla»
Non è detraibile ai fini Iva una fattura che indica come oggetto dell’operazione alcune attività dai contenuti disparati, che non consentono di identificare l’oggetto della prestazione.
Cassazione: sentenze 15117/2016 e 21980/2015
5. Induttivo per fatture incomplete
L’assenza dei dati in fattura previsti dall’articolo 21 del Dpr 633/1972 è grave irregolarità contabile e legittima l’accertamento induttivo.
Cassazione: sentenze 7214/2015, 21446/2014, 3259/2012 e 5748/2010; ordinanze 12065/2016 e 6527/2013
6. Costi deducibili e onere della prova
Al di là del fatto che il contribuente deve provare l’inerenza dei costi che intende dedurre, i costi sproporzionati ai ricavi dell’impresa sono comunque indeducibili.
Cassazione: ordinanze 14858 e 3285 del 2018 e 20303/2017; sentenze 22400 e 7231 del 2016 e 12286/2015.
Più di recente, però, viene affermato che l’inerenza esprime la necessità di riferire i costi all’esercizio dell’impresa (escludendo quelli estranei all’impresa), ma non va compiuta alcuna valutazione di congruità. L’inerenza ha carattere qualitativo e non quantitativo.
Cassazione: sentenze 10902/2019, 32254, 18904 e 13882 del 2018; ordinanze 3170 e 450 del 2018
7. Sanzioni per “genericità”
Se l’oggetto delle fatture è generico, il Fisco è legittimato a irrogare le sanzioni (articolo 9 del Dlgs 471/1997) per l’irregolare compilazione delle fatture
Cassazione: ordinanze 25277/2017 e 12065/2016; sentenze 15177/2016 e 21980/2015