I limiti del Fisco sulle valutazioni tecniche per disconoscere i bonus
Recentemente la Commissione tributaria di Vicenza e quella di Ancona hanno affermato che l’amministrazione finanziaria non può svolgere in autonomia valutazioni tecniche finalizzate a sorreggere il disconoscimento del credito d’imposta
Recentemente la Commissione tributaria di Vicenza (sentenza 365/3/2021) e quella di Ancona (sentenza 392/2/2021) hanno affermato che l’amministrazione finanziaria non può svolgere in autonomia valutazioni tecniche finalizzate a sorreggere il disconoscimento del credito d’imposta. Tale impostazione ha un profondo radicamento costituzionale nei principi di cui agli articoli 23, 24 e 97 della Costituzione. Attiene sia all’operato della Pubblica amministrazione, a fortiori in sede di verifica, sia al diritto di difesa del contribuente, sin dalla fase procedimentale, che significa anche diritto a ricevere domande puntuali, secondo prescrizioni di legge, alle quali rispondere in modo puntuale.
Diversamente le verifiche vengono ancora svolte con richieste onnicomprensive che evocano, come spesso in concreto, risposte generiche e di disconoscimento onnicomprensivo. È bene ricordare che, secondo quanto costantemente ribadito dalla Cassazione, la sanzione della eccezionale inutilizzabilità e della inammissibilità della produzione in giudizio, può derivare solo da un invito correttamente redatto dagli Uffici sia con riguardo alla specifica richiesta di determinati atti (che in ipotesi il contribuente si sia rifiutato di produrre) sia con riguardo al puntuale e illustrato avvertimento dell’applicazione dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 e specificazione dettagliata delle conseguenze in caso di inottemperanza.
In materia di ricerca e sviluppo rileva, tanto quanto in ogni ipotesi di verifica del corretto accesso ai regimi agevolativi ed incentivanti, il fondamentale principio della pienezza ed effettività del contraddittorio. La Cassazione (21542/2021, depositata il 27 luglio scorso) in un più ampio contesto attinente all’elusione, e con limitazioni non del tutto condivisibili, ha ribadito che la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’amministrazione comporta, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché in giudizio il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato attivato.
Il rispetto del contraddittorio è correlato al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale. Deve essere effettivo e non essere pretestuosamente invocato dal contribuente, pena lo sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale. L’effettività del contraddittorio endoprocedimentale e dell’istruttoria amministrativa iscrive tale adempimento nel percorso funzionale all’accertamento stesso.
Ministero dello Sviluppo economico (Mise) e ministero dell’Economia (Mef) sono coinvolti in una “concertazione” non solo originaria, per così dire, “genetica”, in materia di ricerca e sviluppo; ma pure, funzionale, in itinere, durante gli accertamenti e le verifiche opportunamente svolte per testare il corretto comportamento dei contribuenti.
La corretta conseguenza, attinta anche recentemente dai giudici tributari di merito, è la seguente: il procedimento formativo dell’atto di recupero necessariamente implica un giudizio sulla sussistenza dei requisiti per ottenere il credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo. In altre parole, l’agenzia delle Entrate deve rivolgersi al ministero dello Sviluppo economico e acquisire un parere.
Nell’elaborazione della legge di Stabilità e del suo collegato deve entrare un chiarimento normativo, affinché gli stessi uffici non agiscano in ordine sparso e i contribuenti abbiano certezze procedimentali e operative nelle quali è direttamente coinvolto il diritto di difesa. Ritengo che non esista alcuna lacuna normativa, perché il sistema è chiaramente integrato nella necessità di tale diretta implicazione, negli accertamenti fiscali, del parere tecnico del Mise.
Ma se può valere a rimuovere ogni incertezza, anche solo operativa, è bene che il Legislatore provveda immediatamente a rimuovere l’obiettiva incertezza della norma e l’apparente pari legittimità delle opposte letture, nonché per salvare il rapporto d’imposta da un’alea insostenibile. Si tratta di un’esigenza avvertita sul piano pratico, in un ambito cruciale per le eccellenze italiane.
Quindi potrà essere chiarito con apposita norma il discrimen tra «credito non spettante» e «credito inesistente». A ciò il legislatore potrà aggiungere la precisazione, nell’attuazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale e del corretto ed efficiente agire della Pa, che l’agenzia delle Entrate non può procedere in autonomia ma deve acquisire il parere del Mise in sede di monitoraggio e verifica dei crediti d’imposta automaticamente fruiti dai contribuenti.
Se l’accesso automatico ai benefici fiscali in materia di ricerca e sviluppo è semplice, d’altra parte complessi sono i presupposti e i contenuti, per il tecnicismo della materia e le incertezze nell’applicazione delle norme stesse, come dimostrato dalla ipertrofica produzione di prassi amministrativa di Mise e Mef. Né può essere trascurata l’assenza, a tutt’oggi, di una traduzione ufficiale in lingua italiana del «Frascati manual» e dell’«Oslo Manual» pur stabilmente integrati nelle labili argomentazioni che dovrebbero strutturare gli atti amministrativi di recupero degli uffici.
Correttamente la Ctp di Vicenza, nella recente pronuncia, ha ripetuto che sussiste un eccesso di potere da parte dell’Ufficio il quale non è competente a valutare, sul piano tecnico, la valenza dell’attività di ricerca e sviluppo svolta dal contribuente. Lo stesso ufficio deve acquisire autonomamente un parere tecnico preliminare da parte del Mise, parere che deve risultare agli atti per salvare l’accertamento dalle magie nefaste delle enciclopedie online e degli scampoli rabberciati di fake news sulle quali non può reggersi l’accertamento tributario.