Adempimenti

I piani di welfare aziendale tramite l'utilizzo di voucher defiscalizzati

di Cristian Valsiglio

È possibile sfruttare servizi di welfare tramite l'utilizzo di semplici buoni elettronici o cartacei (c.d. voucher) messi a disposizione del dipendente per andare al cinema, in palestra o per fare il viaggio desiderato.

Negli ultimi anni si è assistito a interventi normativi volti a favorire forme di retribuzioni defiscalizzate tramite piani di welfare aziendale: l'utilizzo dei voucher consente anche alle piccole e medie imprese di accedere ai predetti benefici in una logica win win, dove il dipendente riceve dei beni non soggetti a imposta e contributi e l'azienda non deve versare gli oneri previdenziali e contributivi così evitando aumenti del costo del lavoro. Come detto in precedenza, uno degli strumenti di più facile utilizzo per introdurre il welfare in azienda a favore dei dipendenti è la possibilità di concedere dei voucher: documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale che consentono la percezione diretta e vincolata di beni, prestazioni, opere e servizi defiscalizzati.

Il tema del «documento di legittimazione» (voucher o buono) non è nuovo nell'ambito tributario; già in passato infatti il ministero delle Finanze, sia pure con interpretazioni ondivaghe, aveva assimilato detti documenti a volte al denaro altre volte a veri e propri beni di consumo. Dal punto di vista civilistico, invece, è possibile distinguere due differenti fattispecie di voucher:

1. i titoli rappresentativi di beni: veri e propri titoli di credito (per esempio, fede di deposito);

2 . i documenti di legittimazione: documenti che «servono solo a identificare l'avente diritto alla prestazione e a facilitare l'esecuzione del contratto sottostante» (articolo 2002 c.c.).

Se la prima fattispecie non destava alcun sospetto, trattandosi di veri e propri «buoni rappresentativi» del bene, la seconda soluzione – soprattutto ove il buono indicava un valore nominale – ha sempre lasciato qualche perplessità fino a quando il Legislatore, con la legge 208/2015, ha consentito espressamente di usufruire di beni e servizi tramite «documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale».

A regolamentare nel dettaglio la materia è intervenuto il Dm 25 marzo 2015, che ha indicato le condizioni essenziali per avere un voucher defiscalizzato: in particolare deve essere nominativo, non può essere utilizzato da persona diversa dal titolare, non può essere monetizzato o ceduto a terzi, deve dare diritto a un solo bene, prestazione, opera o servizio per l'intero valore nominale senza integrazioni a carico del titolare.

La logica della disciplina, ancorché rigida e limitante, è comprensibile: prima il dipendente sceglie il bene o il servizio, successivamente l'azienda produce il voucher utile per l'acquisto "fisico" del bene o servizio, e da ultimo il dipendente effettua l'acquisto del bene e/o del servizio.

Come spiegato dall'agenzia delle Entrate, a tale fine non rilevano eventuali corrispettivi pagati dal dipendente alla struttura che eroga il benefit, a seguito di un rapporto contrattuale stipulato autonomamente dal dipendente: pertanto se la prestazione ricreativa erogata dal datore di lavoro mediante voucher consiste (per esempio) in dieci ingressi in palestra, il pagamento dell'undicesimo ingresso contrattato direttamente dal dipendente non costituisce integrazione del voucher.

Nel rispetto della logica sopra riportata: biglietti del cinema, del teatro, di eventi sportivi, viaggi, servizi di baby sitting, ingressi in palestra, buoni spesa e buoni benzina, e tanto altro, si possono sfruttare tramite l'utilizzo di voucher.

Tale particolare disciplina ha due sostanziali deroghe: il buono pasto e il voucher collegabile a valori di bene inferiori a euro 258,23, soglia di esenzione fiscale e contributiva dei fringe benefit.

È possibile pertanto distinguere il voucher monouso (collegabile a un singolo bene) dal voucher cumulativo (rappresentativo di più beni per un valore non eccedente euro 258,23).

Da ultimo è bene rilevale che l'agenzia delle Entrate (circolare 5/E/2018) ha chiarito che il benefit (tramite voucher) si considera percepito dal dipendente, e assume quindi rilevanza reddituale, nel momento in cui tale utilità entra nella disponibilità del lavoratore, a prescindere che il servizio venga fruito in un momento successivo.

Il predetto chiarimento dunque chiude il cerchio, affermando che il reddito di lavoro dipendente sorge per cassa al momento della percezione del voucher e non al momento della spesa, confermando la logica di un buono consistente in un bene e non in una mera fonte di denaro.

Per approfondimenti:

Giampiero Falasca e Cristian Valsiglio, «Welfare aziendale», in edicola e online.

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