Imposte

Il calendario del rientro / Società alle prese con le correzioni Ace

di Paolo Meneghetti

Dopo le ultime correzioni contenute nella manovra di primavera (il decreto legge 50), la nuova Ace (Aiuto alla crescita economica) entra a pieno titolo tra le cose da approfondire in occasione del rientro al lavoro, visti i cambiamenti introdotti e le disposizioni attuative varate nelle ultime settimane.

Per gestire le novità è importante tenere presente il decreto attuativo del 3 agosto scorso che, pur se emanato principalmente per risolvere i dubbi di tipo contabile e di bilancio legati alle conseguenze della derivazione rafforzata all’Ace, si occupa anche delle problematiche dei soggetti Irpef, per i quali l’Aiuto alla crescita economica ha veramente cambiato fisionomia (si veda Il Sole 24 Ore dell’8 agosto).

Tra i tanti aspetti critici affrontati dal decreto (e dalla Relazione di accompagnamento che può essere pensata come una sorta di circolare interpretativa), meritano una riflessione approfondita le operazioni che generano l’incremento patrimoniale che rileva ai fini Ace.

Sotto questo profilo, a partire dal periodo d’imposta 2016, le operazioni rilevanti sono simili a quelle che rilevano per i soggetti Ires, cioè utile non distribuito e conferimenti in denaro eseguiti dai soci. Ma rispetto ai soggetti Ires resta un’importante differenza, circa il momento in cui l’incremento patrimoniale generato dall’utile non distribuito produce l’effetto Ace: infatti – in base all’articolo 8, comma 3, del decreto – l’utile va computato al momento della maturazione e non al momento della sua destinazione a riserva, come invece avviene per le società di capitali. In altre parole, l’utile prodotto nell’esercizio 2016 incrementa l’Ace relativa al 2016 e non al 2017, cioè quando, approvato il rendiconto, il socio assume il diritto alla sua ricezione.

Con questa disposizione viene anche risolta la questione civilistica dell’allocazione contabile dell’utile di esercizio per una società di persone. Va ricordato che, mentre nelle società di capitali il diritto del socio a percepire l’utile è condizionato dall’assunzione di una delibera maggioritaria dei soci che affermi questa volontà, nelle società di persone (a norma dell’articolo 2262 del Codice civile) ciascun socio, in assenza di diversa pattuizione statutaria, vanta un diritto soggettivo a percepire la sua quota di utile; diritto non comprimibile dalla diversa volontà degli altri soci (anche se quest’ultima è rappresentata dalla maggioranza dei soci).

Questa diversa situazione normativa fa nascere il dubbio di come allocare l’utile: quale posta del patrimonio netto o piuttosto direttamente tra i debiti (il che non permetterebbe di generare effetto positivo per l’Ace)? Il dubbio si risolve nel senso che il diritto soggettivo del socio nasce con l’approvazione del rendiconto, approvazione che avviene certamente dopo la chiusura dell’esercizio. Se mai in quel momento l’utile diviene un elemento del passivo, ma alla data della chiusura dell’esercizio, a rendiconto non ancora approvato, è un elemento del netto patrimoniale: da qui la sua rilevanza ai fini Ace riconosciuta esplicitamente dal decreto. Resta da stabilire cosa accade quando viene approvato il rendiconto: teoricamente in quel momento nasce il diritto soggettivo del socio a percepire l’utile ed esso dovrebbe diventare una passività, cioè un debito verso il socio (con le relative conseguenze ai fini Ace); ma nulla vieta che i soci assumano una delibera unanime per affermare la volontà di non distribuire l’utile stesso ( in questo senso si veda la Corte di appello di Milano, sentenza 29 giugno 1993), il che confermerebbe la rilevanza dell’incremento patrimoniale ai fini Ace.

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