Controlli e liti

Il contribuente deve giustificare lo scostamento dagli studi di settore

L’ordinanza 12478/2021 della Cassazione si pone in discontinuità con i principi delle Sezioni unite del 2009

di Francesco Paolo Fabbri

In caso di scostamento dalle risultanze dello studio di settore è onere del contribuente fornire la dimostrazione delle circostanze giustificative di tale divergenza. È questo l’incerta statuizione dell’ordinanza 12478 del 12 maggio 2021 della Cassazione, pronuncia che si pone in netta discontinuità con quanto affermato dalle Sezioni Unite della stessa Corte nel 2009.

Nel caso in questione, relativo ad un accertamento da studi di settore, in seguito all’instaurazione del contraddittorio preventivo con il contribuente venivano rigettate le contestazioni di quest’ultimo rispetto alla divergenza, rilevata dell’Ufficio, tra quanto dichiarato dal medesimo contribuente e il calcolo effettuato dalla procedura standardizzata. Circostanza a fronte della quale veniva emesso l’avviso di accertamento, che veniva ritenuto congruamente motivato, da parte dei giudici di merito, dal momento che l’Agenzia delle Entrate aveva confutato le osservazioni riportate del soggetto accertato.

L’atto impositivo notificato al contribuente veniva contestato, tra le altre cose, in considerazione del fatto che risultava basato unicamente sulle risultanze degli studi di settore, senza il supporto di ulteriori elementi probatori. Censura, quest’ultima, che non trovava però accoglimento da parte dei giudici di legittimità.

Infatti, su tale specifico punto la Cassazione ha ritenuto che, nell’ambito degli accertamenti da studi di settore, sia il contribuente a dovere dimostrare la sussistenza di circostanze di fatto tali da giustificare lo scostamento rispetto al calcolo automatizzato degli studi, facendo sì che il reddito sia risultato inferiore a quello calcolato dalla stessa procedura. In sostanza, secondo l’ordinanza in commento, gli studi di settore darebbero luogo ad una «presunzione di reddito» determinata dalla procedura standardizzata, rispetto alla quale il soggetto accertato deve fornire adeguata prova contraria.

Nel caso in esame la Ctr aveva ritenuto che il contribuente non avesse fornito prova di alcuna circostanza giustificativa dello scostamento reddituale dal calcolo degli studi di settore, confermando quindi la Cassazione la pretesa impositiva.

Occorre però rilevare come la pronuncia della Suprema Corte in esame desti più di una perplessità. Questo, nonostante il richiamo di un proprio precedente (ordinanza 769/2019) sullo specifico tema della prova da fornire, da parte del contribuente, in materia di accertamenti da studi di settore.

La Cassazione pare infatti essersi completamente dimenticata di quanto statuito dalle Sezioni Unite con diverse pronunce “storiche”, emanate nel 2009 (26635, 26636, 26637 e 26638). Sentenze con le quali la stessa Corte si era pronunciata specificamente sul “valore probatorio” degli studi di settore, esprimendo un principio che è stato confermato in molteplici occasioni successive (fra le tante, ordinanze 12696/2018 e 23252/2019).

In particolare, con le sentenze a Sezioni Unite venne affermato che l’accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione degli studi di settore (e dei parametri) si sostanzia in un sistema di “presunzioni semplici”, la cui gravità, precisione e concordanza non risulta ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio con il contribuente (contraddittorio da attivarsi obbligatoriamente a pena di nullità dell’atto di accertamento).

Per questo motivo, nei casi in cui il contribuente partecipa attivamente al contraddittorio è l’Ufficio a dover esplicitare, nell’atto impositivo, le motivazioni per le quali ha ritenuto di dover disattendere le difese e le prove addotte dal contribuente a proprio favore. Diversamente, solamente qualora il contraddittorio venga regolarmente attivato ed il contribuente omette di parteciparvi – o non produce alcuna prova circa la coerenza del proprio reddito rispetto allo standard utilizzato – l’Ufficio non è tenuto ad offrire alcuna dimostrazione della pretesa esercitata, in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri.

Sulla scorta di quanto sostenuto dalle Sezioni Unite, le affermazioni dell’ordinanza n. 12478/2021, in merito a tale impropria «inversione» dell’onere probatorio in capo al contribuente accertato, non risultano in alcun modo condivisibili. Ciò, nello specifico, nel fatto che gli studi di settore rappresenterebbero (impropriamente) ex se i requisiti di «gravità, precisione e concordanza».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©