Controlli e liti

Il contribuente «paga» la mancata risposta al questionario in fase precontenziosa

L’inosservanza degli inviti elaborati dall’amministrazione finanziaria può costituire un illecito

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di Roberto Bianchi

Nell’ambito dell’accertamento tributario l’invio del questionario, disciplinato dal comma 4 dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 (comma 5 articolo 51 del Dpr 633/1972) da parte dell’amministrazione finanziaria al fine di fornire informazioni, notizie e chiarimenti, ottempera alla funzione di assicurare - rispetto ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria - un dialogo preventivo tra ufficio e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni al per evitare l’instaurazione del contenzioso tributario, venendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta mediante la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti in fase precontenziosa.

A tale scopo è peraltro necessario che l’Agenzia , con l’invio del questionario, stabilisca un termine minimo per l’adempimento degli inviti o delle richieste, avvertendo il contribuente delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’inottemperanza alle stesse senza che, in caso di mancato rispetto della suddetta sequenza procedimentale, risulti essere invocabile la sanzione dell’inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente esclusivamente con l’introduzione del processo tributario, trattandosi di obblighi di informativa espressione del medesimo principio di lealtà, il quale deve connotare, come si evince dagli articoli 6 e 10 della legge 212/2000, l’operato dell’ufficio.

A confermare il principio è la Cassazione con l’ordinanza 14645/2020.L’atteggiamento non collaborativo da parte del contribuente comporta conseguenze deleterie non soltanto dal punto di vista probatorio ma anche da quello sanzionatorio e procedimentale in quanto, l’inosservanza degli inviti elaborati dall’amministrazione finanziaria può costituire un illecito, rendendo adottabile il metodo di accertamento induttivo extracontabile che allevia i doveri istruttori e probatori gravanti sull’agenzia delle Entrate in funzione della portata indiziaria della richiamata mancanza (Cassazione sentenza 12262/2007).

Lo scopo del rammentato agglomerato normativo è finalizzato a eludere macchinazioni che possano intralciare l’attività istruttoria, impedendo al contribuente di beneficiare di elementi probatori non presentati. La normativa in questione si ripromette (Cassazione sentenza 28049/2009) di evitare, ove plausibile, l’instaurazione del contenzioso tributario (Cassazione, ordinanza 4001/2018) agevolando il confronto tra Amministrazione finanziaria e contribuente, necessariamente improntato sulla correttezza e sulla collaborazione, a salvaguardia degli obblighi di solidarietà economica e sociale tutelati dall’articolo 2 della Costituzione (Corte costituzionale, sentenza 351/2000).Siamo al cospetto di una scelta legislativa coerente con il diritto di difesa (articolo 24 Costituzione) e con il principio di capacità contributiva, custodito nell’articolo 53 della Costituzione (Cassazione sentenza 16536/2010), considerato che le disposizioni costituzionali non vincolano il legislatore nel porre limiti al diritto alla prova, ma tutto ciò può legittimamente manifestarsi esclusivamente a condizione che i menzionati confini si rivelino ragionevoli (Cassazione sentenza 13289/2011).

La disciplina in argomento correla le preclusioni probatorie a uno specifico comportamento ostruzionistico del contribuente in grado di alimentare sospetti in merito all’autenticità di documenti e informazioni che emergono solamente in un momento successivo. Tutto questo rappresenta una razionale giustificazione alla limitazione alla prova, mitigata, tuttavia, dalla facoltà concessa al contribuente di comprovare l’involontarietà del proprio contegno.

Le preclusioni probatorie, tuttavia, risultano essere adottabili esclusivamente qualora l’ufficio abbia formulato una particolare richiesta (Cassazione, ordinanza 10448/2013) che deve possedere un livello di analiticità variabile in funzione delle risultanze probatorie raccolte sino a quel momento e degli sviluppi istruttori ragionevolmente prevedibili, al fine di evitare che il contribuente possa essere vittima di atteggiamenti eccessivi e persecutori.

Difformemente, verrebbe a conclamarsi una condotta avversa alla buona fede (comma 4 articolo 6 della legge 212/2000) che conduce a conclusioni asimmetriche in grado di pregiudicare il diritto alla difesa del contribuente (articoli 24 e 113 Costituzione), in quanto il deposito di istanze eterogenee (Cassazione sentenza 18921/2011) precluderebbe la produzione di qualsiasi documento non esibito nel corso della fase istruttoria. Il collegio di legittimità, infine, si è rifatto a un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cassazione, ordinanza 10670/2018) secondo il quale, qualora l’agenzia delle Entrate affermi il divieto all’utilizzabilità dei documenti non esibiti nella fase istruttoria del procedimento tributario, sulla stessa incombe l’onere di provare i fatti sui quali tale eccezione risulta essere fondata.


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