Controlli e liti

Indagini finanziarie, spetta al contribuente provare la deducibilità dei costi “presunti”

L’ordinanza di Cassazione 8703/2020 torna sull’onere della prova in caso di rilievi sui movimenti bancari

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di Roberto Bianchi

Nell’ambito dell’accertamento del reddito di impresa, l’articolo 32 del Dpr 600/1973 impone di considerare ricavi i prelevamenti e i versamenti effettuati sul conto corrente, salvo che il contribuente non sia in grado di dimostrare che gli apporti risultano registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili. Tutto ciò senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili in quanto, in forza della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente il dovere di superare la contraria presunzione legale relativa, attestando la ricorrenza di specifici costi deducibili con concreti elementi di prova e non mediante affermazioni di carattere generale, semplici presunzioni o il mero richiamo all’equità dato che, alla presunzione legale relativa, deve essere contrapposta necessariamente una prova. A tale conclusione è giunta la Corte di cassazione con l’ordinanza 8703/2020.

La deduzione dei costi “presunti”
Tra le vicende problematiche che emergono dagli accertamenti scaturenti da indagini finanziarie, vi è certamente quella afferente la deduzione dei costi “presunti” sostenuti dai contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili e concernenti i ricavi o i compensi, la cui esistenza viene “ipotizzata” nell’ambito degli accertamenti in esame.

Il comma 1, numero 2 dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 sancisce, con riferimento alle verifiche concernenti le imposte sui redditi, che le informazioni derivanti dalle movimentazioni bancarie vengono poste a base delle rettifiche e degli accertamenti di cui agli articoli 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione del reddito o che le stesse non abbiano assunto rilevanza in tale ambito. Alle medesime condizioni i prelevamenti o gli importi riscossi vengono considerati ricavi posti a base delle medesime rettifiche e degli accertamenti, qualora il contribuente non ne indichi il soggetto beneficiario e non si evincano dalle scritture contabili.

La prova a carico del contribuente
La Suprema corte ha in passato sostenuto che, in tali circostanze, l’onere probatorio dell’amministrazione veniva soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti stessi, venendosi a determinare un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.

Si tratta, a parere dei giudici di piazza Cavour, di «una presunzione legale juris tantum», che «può essere vinta dal contribuente soltanto se offre la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti e gli addebiti registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che vengano indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi» (ordinanza 5346/2018).

Tuttavia, i magistrati del Palazzaccio hanno fornito sulla vicenda anche un’interpretazione estensiva attraverso la sentenza 12021/2015, con la quale hanno sdoganato il riconoscimento forfettizzato dei costi correlati, applicando una percentuale all’ammontare dei ricavi recuperati a tassazione, a condizione che il contribuente fosse in grado di argomentare il percorso logico seguito nella determinazione.

La pronuncia richiamata è rimasta, tuttavia, isolata anche se la stessa Corte suprema ha più volte riconosciuto ai contribuenti la possibilità di fornire la prova anche mediante presunzioni semplici, rientrando le stesse a pieno titolo tra le prove tipiche disponibili per il giudice (sentenza 17250/2013). Tali presunzioni devono, tuttavia, essere sottoposte a un’attenta verifica da parte del collegio giudicante, chiamato a individuare analiticamente i fatti noti rappresentati dal contribuente, dai quali dedurre quelli ignorati.

La contabilità e gli elementi «certi e precisi»
A tal proposito il secondo periodo della lettera b) del comma 4 dell’articolo 109 del Tuir permette di dedurre i componenti negativi di reddito non transitati dal conto economico che, tuttavia, risultano essere specificamente afferenti ai componenti positivi di reddito non presenti nelle scritture contabili «se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi».

La prevalente giurisprudenza di legittimità sostiene, infine, che la prova contraria a carico del contribuente avverso le presunzioni scaturenti dalle indagini finanziarie, debba necessariamente essere specifica, dovendo fare esplicito riferimento alle singole operazioni risultanti dalla documentazione finanziaria (sentenza 5758/2018).

Pertanto, tenuto in debita considerazione l’articolo 109 del Tuir e l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, potrebbe risultare inefficace fornire la dimostrazione del sostenimento dei costi non contabilizzati avvalendosi di una metodologia di quantificazione forfettizzata.

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