Il convivente partecipa agli utili dell’impresa familiare
Anche per il convivente partecipante all’impresa familiare trova applicazione, ai fini delle imposte dirette, il principio di trasparenza fiscale.
L’articolo 5 del Testo unico delle imposte sui redditi, Dpr 917/1986, ai commi 4 e 5, dispone in merio alle imprese familiari. Si tratta di una fattispecie riconosciuta dal codice civile che all’articolo 230-bis, rubricato proprio "Impresa familiare", stabilisce che si tratta di impresa che vede la partecipazione del «familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro».
Per quanto concerne i familiari che possono partecipare all’impresa, è il terzo comma dell’articolo 230-bis a stabilire che per impresa familiare si intende «il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo».
Sul tema è di recente intervenuta l’agenzia delle Entrate che, attraverso la risoluzione n. 134 del 26 ottobre scorso, ha analizzato la questione della validità dell’impresa familiare costituita assieme ad un convivente more uxorio.
Fa presente dapprima l’Agenzia che la Legge Cirinnà è intervenuta proprio sulla disciplina dell’impresa in commento, da un lato estendendo alle unioni civili la disciplina civilistica dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis codice civile e dall’altro introducendo l’articolo 230-ter, rubricato "Diritti del convivente", che reca la regolamentazione delle prestazioni di lavoro rese in favore del convivente more uxorio.
Proprio tale ultima disposizione stabilisce che il diritto di partecipazione agli utili dell’impresa familiare, ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, spetta anche «al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’ interno dell’impresa dell’altro convivente», sempre che fra i conviventi non esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.
Facendo presente che gli elementi costitutivi dell’impresa familiare con il convivente sono il rapporto di convivenza stesso, lo svolgimento stabile di prestazioni di lavoro e l’esistenza di un’impresa cui risulti connessa la prestazione lavorativa, sempre il documento di prassi citato fa presente che nessuna modifica ha interessato, con riferimento all’impresa familiare con il convivente, l’articolo 5 del Tuir, che dispone sempre e solo in merito all’impresa di cui all’articolo 230-bis del codice civile senza fare, appunto, riferimento all’articolo 230-ter.
Ciò malgrado, ancorché si possa essere portati ad escludere per le imprese familiari con il convivente il trattamento fiscale riservato alle imprese familiari con i parenti ossia con il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo, il riferimento - contenuto proprio nel richiamato articolo 230-ter alla « partecipazione agli utili dell’impresa familiare» spettanti al convivente - porta l’Agenzia ad affermare che anche in questo caso trovano applicazione le norme di cui all’articolo 5 del Tuir, ossia l’imputazione per trasparenza degli utili al convivente in proporzione alla sua quota di partecipazione.
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Agenzia delle Entrate, risoluzione 134/E/2017