Il custode amministra: pagato con le tariffe
Il compenso del custode e amministratore giudiziario di una società sottoposta a sequestro giudiziario penale va liquidato in base alle tariffe professionali dei dottori commercialisti e non secondo gli usi locali. Nel determinare il compenso si deve, infatti, fare una distinzione tra la semplice custodia e conservazione, rispetto alla custodia con amministrazione del bene, nello specifico una società commerciale, sottoposto a sequestro.
La Corte di cassazione con la sentenza 14484, depositata ieri, accoglie il ricorso dei due professionisti, contro la decisione del Tribunale che aveva considerato corretta la compensazione in base agli usi locali, in assenza di una base normativa che consentisse il ricorso alle tariffe professionali relative alla qualità di dottore commercialista del custode.
Un criterio che i ricorrenti contestavano, ritenendo la modalità adottata applicabile solo agli ausiliari ma non alle categorie professionali riconosciute, per le quali la legge ha disposto apposite “tabelle”.
La Suprema corte osserva che i precedenti di legittimità invocati a sostegno della tesi dei professionisti, sono relativi alla diversa situazione della gestione dei beni soggetti a provvedimenti di prevenzione,mentre nel caso esaminato si trattava di un sequestro di natura preventiva messo in atto nell’ambito di un procedimento penale. Dunque correttamente il compenso andava tassato secondo le norme del testo unico sulle spese di giustizia (Dpr 115/2002, articolo 58 e 59) che rimandano a un apposito decreto ministeriale che non impone la liquidazione in base alle tariffe.
La Cassazione però guarda al contenuto dell’atto di nomina del giudice del Tribunale.
Un provvedimento nel quale era espressamente menzionata, oltre alla semplice custodia del bene, anche l’attività di amministrazione, che era stata effettivamente prestata. Il Tribunale aveva dunque sbagliato a esaminare esclusivamente la questione sotto il profilo della sola custodia del bene, senza fare alcun cenno al più complesso ruolo di amministratore svolto dal ricorrente.
La Corte di Cassazione annulla dunque con rinvio, invitando i giudici a fare un distinguo, tra custodia e amministrazione, anche alla luce del decreto interministeriale.