Controlli e liti

Il diniego all’interpello per le società di comodo s’impugna autonomamente

di Massimo Romeo

La procedura di disapplicazione della disciplina sulle società di comodo si raffigura come un interpello obbligatorio il cui effetto logico è che il diniego sull’istanza può essere qualificato come un diniego di agevolazione. Quindi è un atto autonomamente impugnabile ai sensi dell’articolo 19, comma 1, lettera h), del Dlgs 546/1992. È il principio che emerge dalla sentenza della Ctr Lombardia n. 5571 del 21 dicembre 2017 (presidente Fabrizi, relatore Crespi).

Il caso deciso dalla Ctr riguardava l’impugnazione da parte di una società del diniego sull’istanza di disapplicazione della disciplina sulle società non operative (cosiddette di comodo). Il ricorso evidenziava che la società non aveva potuto superare il test di operatività per la situazione oggettiva di carattere straordinario legata all’iter instaurato con il Comune per la revisione di interventi stabiliti che, per lungaggini amministrative, non si erano potuti perfezionare. Quindi non le sarebbe imputabile alcuna condotta di inerzia, in ragione delle difficoltà, anche economiche, per la realizzazione degli interventi previsti (la riqualificazione di un parco divertimenti).

Secondo, invece, la tesi delle Entrate, condivisa dai giudici di primo grado, il diniego in esame non è atto autonomamente impugnabile, in quanto interviene in un fase preventiva all’accertamento senza costituire un obbligo di adeguamento nei confronti del contribuente istante.

I giudici d’appello si occupano preliminarmente di inquadrare la fattispecie in esame nell’articolo 30 della legge 724/1994, ricordando le finalità e la struttura della disciplina delle società non operative (Snop). Giungono quindi a decidere per l’ammissibilità del ricorso, sul presupposto che il contribuente, per non essere qualificato Snop, ha l’onere di presentare istanza di interpello al direttore regionale delle Entrate, descrivendo e documentando compiutamente quali situazioni oggettive non avrebbero permesso il raggiungimento del livello minimo dei ricavi e del reddito.

La procedura di disapplicazione in esame, prosegue la sentenza, si raffigura come un interpello obbligatorio. La conseguenza logica è che il diniego espresso dalla direzione regionale sull’istanza può essere qualificato come un diniego di agevolazione, atto autonomamente impugnabile ai sensi dell’art.icolo 19, comma 1, lettera h), del Dlgs 546/92.

Quanto al merito della vicenda, la Commissione osserva che, nel caso di specie, il mancato superamento del test di operatività non è addebitabile ad una condotta omissiva o volutamente elusiva da parte della società. Infatti, quest’ultima si era trovata in difficoltà economica per la realizzazione degli interventi progettati e aveva chiesto al Comune di revisionare l’accordo, riscontrando inerzia nell’iter burocratico-amministrativo.

Pertanto, secondo i giudici, vi erano gli atti e i documenti necessari per individuare le situazioni oggettive che avevano reso impossibile il raggiungimento dei livelli minimi di ricavi e di reddito presunto.

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