Controlli e liti

Il diritto al rimborso Iva scatta dalla dichiarazione di fallimento del curatore

Per la Cgt Campania il diritto sorge da quella data in quanto equiparabile alla cessata attività

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di Marco Nessi e Roberto Torelli

La dichiarazione del curatore è equiparabile alla dichiarazione di cessazione di attività, con la conseguenza che essa, al pari della dichiarazione annuale, chiudendo il rapporto tributario antecedente alle procedure concorsuali, fa sorgere, da quella data il diritto al rimborso dei versamenti d’imposta effettuati in eccedenza. Lo ha affermato la Cgt di II grado della Campania nella sentenza n. 1891/3/2023 (presidente e relatore Macrì).

Nel caso in esame una Srl presentava ricorso contro il provvedimento del diniego del rimborso del credito Iva maturato nel periodo prefallimentare. Dopo un giudizio di primo grado sfavorevole, in sede d’appello, il diritto al rimborso veniva affermato sulla base delle seguenti argomentazioni.

1 Violazione dell’articolo 112 del Codice di procedura civile: il thema decidendum era costituito esclusivamente dal diniego di rimborso del credito Iva maturato prima del fallimento motivato dall’ufficio sul presupposto del mancato rispetto dell’articolo 30 del Dpr 633/72. Viceversa, secondo la società appellante, la dichiarazione di fallimento avrebbe integrato la cessazione dell’attività richiesta dalla legge per la presentazione della richiesta di rimborso.

2 Travisamento dei fatti: il rimborso era derivato dalla regolare e tempestiva presentazione della dichiarazione Iva 2019 e non 2016, come erroneamente affermato dalla Cgt di primo grado.

3 Irrilevanza degli argomenti addotti dalla Cgt di primo grado per il rigetto del ricorso rispetto alla questione sollevata della legittimità del rimborso

4 Equiparazione della dichiarazione di fallimento della società alla chiusura dell’attività d’impresa ai fini della richiesta del rimborso del credito Iva (come già riconosciuto in giurisprudenza).

L’agenzia delle Entrate ribadiva il diniego al rimborso, in considerazione della presunta insussistenza del fatto costitutivo del diritto alla ripetizione della somma, ovvero l’omessa dichiarazione di cessazione dell’attività (ex articolo 30, Dpr 633/72) e la continuazione della gestione attiva sotto forma di liquidazione fallimentare.

Il collegio di secondo grado ha accolto l’appello della società, riconoscendone la fondatezza. In particolare è stato osservato che, nel caso specifico, ai fini Iva, non essendo stato disposto l’esercizio provvisorio (ex articolo 74-bis, Dpr 633/72), l’attività della società doveva ritenersi cessata (ai fini del rimborso Iva) con la dichiarazione di fallimento; pertanto, legittimamente, il curatore aveva chiesto il rimborso. Il collegio ha altresì avallato la correttezza di questa conclusione evidenziando che l’equiparazione della dichiarazione di fallimento alla chiusura dell’attività d’impresa ai fini della richiesta di rimborso del credito Iva è già stata pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza (da ultimo, Cassazione 14620/2019).

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