Imposte

Il fallimento eredita il taglio dei crediti deciso nel concordato

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di Luca Boggio

La falcidia dei crediti prevista da un concordato preventivo omologato ma poi non adempiuto e di cui nessun creditore ha chiesto la risoluzione, permane anche nella procedura di fallimento aperta successivamente. Lo ha stabilito il Tribunale di Trento, con una decisione del 18 luglio scorso che ha ammesso allo stato passivo un credito nella sola misura rideterminata per effetto dell’esdebitazione derivante dall’applicazione delle regole sul concordato e non in quella (maggiore) del credito originario.

La decisione dei giudici trentini si discosta però dall’orientamento espresso dalla Cassazione con la sentenza 26002/2018 secondo la quale il credito non avrebbe dovuto essere falcidiato.

Le ragioni della riduzione

La sentenza di Trento si è basata invece ad alcune affermazioni contenute in due precedenti pronunce con cui la Cassazione (sentenze 17 luglio 2017, n. 17703 e 11 dicembre 2017, n. 29632) ha ammesso la dichiarazione di fallimento anche quando il concordato preventivo, non eseguito nei tempi promessi, non sia stato previamente risolto per grave inadempimento (su quest’orientamento della Suprema Corte si veda anche Il Sole24ore del 18 novembre 2019).

Partendo dal presupposto della fallibilità senza risoluzione del concordato, il Tribunale di Trento ha quindi concluso che gli effetti sulla falcidia del debito causati dalla procedura minore continuano a valere anche nel fallimento. Ha quindi accolto l’ istanza di insinuazione nel passivo delle procedure fallimentari nella minor misura in cui il credito residua per effetto dell’articolo 184 della legge fallimentare (al netto di eventuali acconti percepiti dal singolo creditore).

La giurisprudenza di legittimità sembra però presentare una contraddizione tra l’affermazione che il «procedimento [di risoluzione del concordato] andrebbe attivato – previamente o concorrentemente – solo se l’istante facesse valere non il credito nella misura ristrutturata (e dunque falcidiata) ma in quella originaria» (sentenze n. 17703 e 29632) e la prospettazione di cui alla sentenza 26002 secondo la quale «quando intervenga medio tempore il fallimento, il concordato non può dirsi più pendente, poiché è il programma negoziale insito nel piano che viene meno perché ineseguibile, con la conseguenza che la falcidia dei crediti non si giustifica più». Va però sottolineato che le due decisioni del 2017 non si inseriscono in procedimenti impugnatori di verifiche di crediti in sede fallimentare e, pertanto, debbono qualificarsi non come principi di diritto, costituendo piuttosto degli obiter dicta.

La posizione contro la falcidia

Con la sentenza 26002/2018 la Cassazione ha invece affermato che se il fallimento è stato dichiarato quando era ancora possibile chiedere la risoluzione del concordato omologato per grave inadempimento, i creditori non sono tenuti a sopportare gli effetti esdebitatori di tale concordato, poiché il fallimento sopravvenuto ha reso impossibile l’attuazione del piano.

Questa decisione non convince nella parte in cui sembra valorizzare come dirimente il rilievo che «sarebbe incoerente ritenere che il credito da ammettere al passivo debba subire la falcidia concordataria, senza che il creditore che l’aveva dovuta accettare nella prospettiva dell’attuazione del piano e di un celere, seppur parziale, realizzo abbia potuto proporre la domanda di risoluzione del piano stesso, pur pendendo ancora il termine di cui alla legge fallimentare, articolo 186».

Hanno trascurato infatti i giudici di legittimità che con l’omologazione del concordato è rideterminato l’ammontare esigibile da ciascun creditore e che il legislatore dà una tal stabilità all’accordo raggiunto che soltanto l’annullamento o la risoluzione possono ripristinare lo status quo ante. La rimozione del vincolo assunto dal debitore con i benefici effetti di cui all’articolo 184 legge fallimentare è rimessa all’iniziativa individuale di ciascun creditore, che può esercitarla in qualunque momento il debitore si sottragga all’esecuzione della prestazione promessa con il patto concordatario, che comprende il pagamento del “pregresso” (nella misura falcidiata) ed il “nuovo” (in misura integrale). Non importa che il termine non sia ancora scaduto, precludendo il rimedio risolutorio; il patto è efficace. L’eventuale ignoranza delle ragioni di risoluzione è un impedimento di fatto all’esercizio della facoltà rimediale, che è però irrilevante sul piano del diritto, in assenza di una norma che sancisca l’inefficacia del vincolo assunto ed omologato.

In sede di verifica dello stato passivo del fallimento di un’impresa precedentemente ammessa al concordato preventivo poi omologato, di cui nessun creditore abbia domandato la risoluzione per grave inadempimento ai sensi dell’articolo 186 della legge fallimentare, i crediti maturati prima dell’apertura della procedura minore devono essere ammessi soltanto nella misura falcidiata per effetto dell’omologazione della proposta concordataria accettata, anziché in quella integrale ossia pari al loro importo originario.

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