Controlli e liti

Il fine elusivo non incide sulla validità del contratto

Alla frode fiscale si applicano solamente le sanzioni prescritte dalla normativa tributaria e non anche sanzioni civilistiche

di Angelo Busani

Non è qualificabile in termini di nullità civilistica il contratto stipulato al fine di eludere la normativa fiscale, in quanto le conseguenze di un comportamento fiscalmente elusivo trovano di per sé, nel sistema fiscale, un apparato sanzionatorio.

In altre parole, alla frode fiscale si applicano solamente le sanzioni prescritte dalla normativa tributaria e non anche sanzioni civilistiche.

È quanto la Corte di Cassazione ribadisce nell’ordinanza n. 3170 del 2 febbraio 2023, reiterando un principio già affermato con le decisioni 12327/1999 e 4785/2007, il quale, dunque, conserva la sua vigenza anche a valle di tutto il “percorso” che il concetto di elusione ha recentemente compiuto nel nostro ordinamento.

I giudici della Suprema corte peraltro precisano che, l’amministrazione finanziaria, ove ne abbia interesse, può pur sempre promuovere un giudizio civile per far dichiarare la simulazione assoluta o relativa dei contratti stipulati dal contribuente o la loro nullità per frode alla legge (ivi compresa la frode alla legge tributaria), potendo fornire la relativa prova anche per presunzioni gravi, precise e concordanti.

Tornando all’impatto dell’abuso delle norme tributarie sulla tenuta civilistica dei contratti stipulati con finalità elusiva, nella decisione 3170/2023 viene osservato che il divieto di elusione in materia tributaria è un principio che opera esclusivamente nei confronti del fisco, al fine di individuare la base imponibile di una determinata operazione o il reddito di un determinato soggetto o il disconoscimento della possibilità di ottenere determinate deduzioni.

Pertanto, il divieto di elusione «non incide sulla validità del contratto nei rapporti tra le parti contraenti».

Questo ragionamento trova linfa anche nella norma anti-elusione di cui all’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente (legge 212/2000) ove è sancito il principio secondo cui all’abuso della norma tributaria consegue l’inopponibilità del contratto all’amministrazione finanziaria, la quale, pertanto, può disconoscere i vantaggi che il contribuente ha tentato di conseguire e quindi può applicare i tributi sulla base delle norme eluse.

È chiaro che da questa regola altra considerazione non si può trarre che il legislatore ha presupposto la validità civilistica degli atti elusivi del contribuente, i quali, quindi, non sono invalidi, ma “solo” soggetti al potere di riqualificazione dell’autorità fiscale. Insomma, l’abuso del diritto in campo tributario va tenuto rigorosamente distinto dall’abuso del diritto elaborato in campo civilistico (quest’ultimo comporta la radicale nullità del contratto, ai sensi dell’articolo 1344 del Codice civile) in quanto, nella materia contrattuale, l’elusione verte sui rapporti tra le parti e non trova applicazione a tutela di interessi terzi estranei alle parti, venendo in rilievo solo l’uso distorto di un potere connesso alla titolarità di un diritto e non, come nel campo tributario, la tutela di un interesse pubblico proprio dell’amministrazione finanziaria.

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