Controlli e liti

Il giudice tributario non può limitarsi ad applicare la sentenza penale definitiva

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di Roberto Bianchi

La sentenza penale definitiva non si estende automaticamente all’ambito tributario. Il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione sulla condotta delle parti e sul materiale probatorio acquisito agli atti (articolo 116 del Codice di procedura civile), deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico nel quale lo stesso è destinato a operare. A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione con l’ordinanza 32567/2019.
I Giudici di piazza Cavour anche in precedenza (ordinanza 16262/2017) avevano affermato che, nell’ambito del contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può essere attribuita alla sentenza penale irrevocabile nel contesto dei reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in materia penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario valgono i limiti in tema di prova, ai sensi dell’articolo 7 del Dlgs 546/1992, e sono ammissibili le presunzioni semplici, non adeguate a supportare una pronuncia penale di condanna.
Di conseguenza i giudici di legittimità hanno precisato (ordinanza 28174/2017) che «il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (articolo 116, Codice diprocedura civile), deve procedere ad un apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio».
Sul tema la Suprema Corte (ordinanza 3284/2018) ha inoltre affermato, nell’ambito del contrasto alle frodi Iva, che è illegittimo il recupero dell’imposta detratta a fronte di operazioni realmente effettuate, non rilevando come prova contraria la sola sentenza di patteggiamento in sede penale.
Il Collegio di legittimità ha affrontato la questione afferente la relazione tra il processo penale e quello tributario, con particolare riguardo alla rilevanza probatoria della sentenza penale di condanna o di assoluzione (anche a seguito di patteggiamento) all’interno del giudizio tributario (ordinanza 13034/2017) e, in tale contesto, la sentenza penale di applicazione della pena su richiesta, disciplinata dall’articolo 444 del Codice di procedura penale, costituisce esclusivamente un elemento di prova per il giudice di merito che ha, tuttavia, la facoltà di disconoscere con provvedimento motivato (Cassazione, sentenza 5699/2016). Pertanto, la sentenza di patteggiamento non acquisisce efficacia di giudicato nel procedimento tributario, instaurato dallo stesso imputato, ma può essere utilizzata come prova dal magistrato tributario nel giudizio di legittimità sull’accertamento fiscale (sentenza 27196/2014). Tutto ciò in quanto il rapporto tra processo penale e accertamento/processo tributario è fondato sul principio del doppio binario secondo il quale, ai sensi dell’articolo 20, Dlgs. n. 74/2000, la procedura amministrativa di accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente a oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento dipende comunque la relativa definizione.
Di conseguenza, l’imputato assolto in ambito penale, anche con formula piena per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati al giudizio tributario (Cassazione, ordinanza 16262/2017).

Cassazione civile, sezione tributaria, ordinanza 32567 del 12 dicembre 2019

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