Controlli e liti

Il monitoraggio fiscale torna nel mirino dell’Ue

Bocciata la legge fiscale della Spagna. Ma sul tema, sanato dalla Comunitaria 2013, pendono altri ricorsi dall’Italia

Il monitoraggio fiscale su beni e attività detenuti all’estero dai cittadini europei torna nel mirino delle istituzioni comunitarie. Con la sentenza nella causa C-788/19 (Commissione vs Spagna) la Corte di Giustizia ha bollato come contraria al diritto dell’Unione la legislazione di Madrid sul “Modello 720”, l’equivalente concettuale del nostro Quadro Rw per la dichiarazione delle proprietà e attività oltre confine.

Tre i motivi della censura articolata sugli «ostacoli oggettivi alla libera circolazione dei capitali»: imprescrittibilità della contestazione tributaria, sproporzione della sanzione in capo al contribuente (fino al 150% dell’imposta teorica) in aggiunta al sine limite delle sanzioni forfettarie accessorie.

L’aggiramento della prescrizione dell’obbligazione tributaria, scrive la Corte, è ottenuto assoggettando a imposta il valore degli attivi non dichiarati come fossero «plusvalenze patrimoniali non giustificate». Una scelta di politica sanzionatoria, questa, «sproporzionata» rispetto agli obiettivi perseguiti, in quanto consentono all’amministrazione di procedere senza limiti di tempo alla rettifica dell’imposta dovuta.

La Cgue contesta poi alla Spagna la «sanzione proporzionale del 150% dell’imposta calcolata sulle somme corrispondenti al valore dei beni o dei diritti detenuti all’estero». Sanzione che può anche essere cumulata con penalità forfettarie che si applicano a ciascun dato o a ciascuna categoria di dati mancanti, incompleti, inesatti o falsi che devono essere indicati nel «Modello 720». La Corte stigmatizza quindi le sanzioni forfettarie aggiuntive con importo non commisurato alle sanzioni previste per infrazioni simili commesse da parte di “evasori nazionali”: in sostanza, discriminazione tra contribuenti.

Il percorso del contenzioso tra la Commissione e la Spagna ricorda molto da vicino quello che aveva portato l’Italia a disinnescare la procedura Eu Pilot 1711/11/Taxu mediante le Legge Comunitaria 2013 (n°97). Qui, all’articolo 9, era stata rivista al ribasso la parte sanzionatoria amministrativa del monitoraggio fiscale, con sanzioni dal 10% al 50% ridotte tra il 3%e il 15% fino al massimo del 6%-30% per i Paesi black list, e con contestuale cancellazione della confisca.

La questione , rimasta latente per qualche tempo, è però poi riemersa in una serie di ricorsi giurisdizionali non solo sotto il profilo delle sanzioni, rimaste comunque alte (sono riferibili alle singole annualità) ma anche e soprattutto per gli adempimenti ritenuti troppo onerosi in un’epoca di scambi automatici di info fiscali ormai standardizzati tra amministrazioni .

Secondo costante giurisprudenza della Corte Ue, peraltro, le misure vietate dall’articolo 63, paragrafo 1, del Trattato Ue in quanto restrizioni dei movimenti di capitali, comprendono quelle che sono idonee a dissuadere i residenti di uno Stato membro dal compiere investimenti in altri Stati (v. sentenza C-326/12, punto 25; sentenze da C-338/11 a C- 347/11, punto 15 e giurisprudenza ivi citata, nonché C-375/12, punto 43) . Con la Sentenza , C 317/15, la Corte di giustizia si è occupata di una fattispecie che ripropone la legittimità del raddoppio dei termini di accertamento, previsto in caso di attività detenute in paesi black list, in relazione alla sua compatibilità con il principio di libera circolazione dei capitali, affermando che una tale normativa (olandese, simile a quella italiana), è idonea a restringere il principio di libera circolazione dei capitali, applicabile anche nei confronti dei paesi terzi e, quindi, valevole anche per paesi diversi dagli Stati membri dell'Unione europea, quali ad esempio la Svizzera. Lo scambio automatico e “su richiesta” rende illegittimo il raddoppio dei termini di accertamento per i Paesi “black list” e il collegato raddoppio della sanzioni (articolo 12, Dl. 78 del 2009).

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