Imposte

Il quoziente familiare suddivide il reddito totale sui componenti

Nuove regole d’accesso per il superbonus al 90% per gli immobili unifamiliari; il reddito di riferimento del contribuente non dovrà superare i 15mila euro

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di Matteo Prioschi

La bozza di decreto legge Aiuti-quater lega l’accesso nel 2023 al superbonus 90% per gli immobili unifamiliari al possesso, da parte del contribuente, di un reddito di riferimento non superiore a 15mila euro. Tale reddito viene determinato secondo un sistema indicato dallo stesso decreto che, sostanzialmente, tiene conto del reddito di tutto il nucleo familiare e lo divide per il numero di componenti dello stesso.

La descrizione contenuta nella bozza del provvedimento è piuttosto semplice nella sua formulazione. Il reddito di riferimento, ai fini del superbonus, si ottiene sommando i redditi complessivi, dell’anno precedente quello in cui si sostiene la spesa, del richiedente e, se presenti nel nucleo familiare, del coniuge (o convivente o unito civilmente) e dei familiari a carico a fini fiscali (articolo 12, comma 2, del Dpr 917/1986); l’importo così ottenuto va diviso per un coefficiente che è pari a 1 se c’è solo il richiedente. Se c’è anche il coniuge/convivente/unito civilmente, al coefficiente si aggiunge 1; se c’è un familiare a carico si aggiunge 0,5; con due familiari si aggiunge 1; con tre o più familiari si aggiunge 2.

Si tratta di un sistema differente rispetto all’Isee, l’indicatore utilizzato per stabilire l’accesso a una serie di agevolazioni sociali per i nuclei familiari, tra cui, il più recente è l’assegno unico e universale che ha debuttato quest’anno.

L’Isee considera i redditi più il 20% del patrimonio mobiliare e immobiliare del nucleo familiare. In particolare prende in considerazione i singoli redditi netti delle persone, cioè quelli calcolati tenuto conto delle spese e delle franchigie applicabili; somma gli importi così definiti, a cui aggiunge il 20% del patrimonio immobiliare (differenziando se l’abitazione di residenza è di proprietà o in affitto e con un valore Imu al netto di una franchigia di 52.500 euro) e mobiliare (il valore più alto tra la giacenza media sui conti correnti e quella a fine anno); quindi poi divide il tutto con i parametri della scala di equivalenza che tiene conto anche della presenza di disabili nel nucleo familiare, di figli oltre il secondo o minori. Redditi e patrimonio sono quelli del secondo anno precedente la richiesta di Isee, ma dell’indicatore si può utilizzare anche una versione «corrente» qualora ci siano state variazioni significative di redditi o patrimonio, che tiene conto dei valori dell’anno precedente la richiesta. Inoltre, oltre all’Isee ordinario e a quello corrente, esistono quelli per le prestazioni per il diritto allo studio universitario, per l’accesso alle prestazioni socio-sanitarie, quello sociosanitario e per minorenni di genitori non coniugati tra loro e non conviventi, con relative particolarità di calcolo.

Si tratta di due sistemi sensibilmente differenti che rendono difficile una valutazione comparata degli effetti della loro applicazione. Pur a parità di reddito, l’Isee considera, seppur in parte, il patrimonio, che può anche essere consistente, con una conseguente valutazione diversa della ricchezza “equivalente” della famiglia.

Il quoziente familiare considera il reddito complessivo, ma alcune elaborazioni evidenziano che potrebbe non agevolare le famiglie più povere. Dai calcoli effettuati qualche anno fa, ipotizzando di introdurre il sistema utilizzato in Francia, emergeva un beneficio per i nuclei familiari più agiati, mentre quelli con redditi bassi avrebbero subito un incremento della tassazione. Un documento dell’Eurispes, pubblicato in vista del debutto dell’assegno unico universale, sottolinea che per arrivare a una maggior equità fiscale sarebbe opportuno passare dall’Isee al quoziente familiare e transitare dalla tassazione su base individuale a quello per parti. E, per quanto concerne l’Isee, evidenzia che mentre in italia al quarto figlio corrisponde lo 0,35 nella scala di equivalenza, con il sistema francese il valore è 1.

Oltre i redditi

Emersione record dei patrimoni con i controlli dell’Isee post riforma

L’indicatore della situazione economica equivalente, pur con i suoi limiti che alcuni evidenziano, dopo la riforma del 2014 ha raggiunto l’indiscutibile risultato di far emergere patrimoni fino ad allora ufficialmente inesistenti. Fino a quell’anno, infatti, la quota di famiglie con patrimonio mobiliare nullo arrivava quasi al 70% (e prima era superiore anche di dieci punti percentuale). La possibilità di usare per i controlli i dati comunicati dagli intermediari finanziari all’agenzia delle Entrate ha fatto sì che nel 2015 le famiglie che hanno richiesto l’Isee e hanno dichiarato un patrimonio mobiliare nullo sono scese al 14,1% del totale. Il trend è continuato fino al 2019, raggiungendo il minimo del 3,2 per cento (dati del Rapporto Isee 2020 del ministero del Lavoro, pubblicato a febbraio 2022). Nel 2020 la tendenza si è invertita e la quota è salita oltre il 5 per cento.

IL MECCANISMO

Contemporaneamente è cresciuto l’importo medio dei patrimoni. Il meccanismo di calcolo dell’Isee prevede comunque una franchigia di 6.000 euro sul patrimonio mobiliare, aumentata di 2.000 euro per ogni componente del nucleo familiare oltre il primo, fino a 10mila euro massimo, con la possibilità però di sforare di 1.000 euro per ogni figlio dal terzo in poi.

Quanto ai redditi, è prevista una franchigia del 20% per quelli da lavoro dipendente o assimilato o da pensione con limiti di 3.000 e 1.000 euro.

Nel caso di una famiglia monoreddito, pari a 30mila euro annui (che scende a 27.000 per effetto della franchigia), con una casa di proprietà di valore sotto la franchigia Isee, e un saldo bancario di 10mila euro, l’indicatore della situazione economica equivalente è di poco superiore a 13mila euro.

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