Contabilità

Il Registro imprese prevale sul diritto all’oblio

di Giovanni Negri

Sulle esigenze di privacy, di diritto all’oblio , può prevalere una necessità di massima trasparenza delle relazioni commerciali. Così, sulla base delle norme e dei compiti istituzionali della Camera di commercio con la tenuta del Registro delle imprese, è legittima l’iscrizione e la conservazione in tale registro delle informazioni sulla carica di amministratore e liquidatore ricoperta in una società, anche se questa è stata prima dichiarata fallita e poi cancellata dal registro delle imprese.

La Corte di cassazione, con la sentenza 19761/2017 della Prima sezione civile, depositata ieri, ha accolto il ricorso della Camera di commercio, che aveva perso in appello, contro un manager secondo il quale il suo nome non doveva essere accostato a quello dell’ente fallito dopo la cancellazione dal registro. Per la Cassazione, tuttavia, prevale l’esigenza di pubblicità commerciale sull’interesse del privato ad impedirla, a causa delle ragioni di certezza nelle relazioni commerciali soddisfatta dal Registro delle imprese soddisfa.

La Corte d’appello aveva ritenuto del tutto ingiustificata l’indicazione del nome del manager, che emergeva dalla visura storica della società, trascorsi 10 anni dal fallimento e 2 anni dalla cancellazione dal Registro delle imprese della società. Le iscrizioni che collegano il nome di persona alla carica in una società poi fallita, nel giudizo della Corte d’appello, non possono essere «perenni» in assenza di uno specifico interesse generale alla loro conservazione divulgazione. Visto che il Codice civile non prevede un tempo massimo di iscrizione, trascorso un tempo «congruo» da fallimento e cancellazione, sono insostenibili la necessità e l’utilità dell’indicazione nominativa.

La Cassazione però non è stata di questo parere e ha invece accolto il ricorso della Camera di commercio, ricordando innanzitutto la recentissima sentenza del 9 marzo 2017, proprio sulla questione pregiudiziale sollevata dalla Cassazione in questo caso,della Corte di giustizia Ue che ha, in sostanza, confermato la coerenza con la normativa comunitaria dell’ordinamento italiano sulla mancata previsione del diritto a ottenere la limitazione temporale o soggettiva della pubblicità dei dati iscritti nel Registro delle imprese.

La sentenza depositata ieri mette in risalto l’importanza del Registro delle imprese che «svolge un ruolo essenziale nella regolamentazione dei rapporti d’impresa, rientrando l’attuazione della pubblicità commerciale nei compiti primari della pubblica amministrazione e fra i doveri inderogabili dello stesso imprenditore». Il diritto poi degli interessati all’oblio, nella lettura della Cassazione, fa sempre salve esigenze specifiche, fra le quali quella di rispettare obblighi di legge a tutela di interessi generali e di ordine e sicurezza pubblica.

A essere contestato è poi il presupposto di negatività dell’accostamento del nome del manager a una società fallita. Perché, ricorda la Cassazione, anche alla luce delle riforma della Legge fallimentare di questi ultimi anni non è naturale che al fallimento si accompagni anche un elemento di discredito personale.

Cassazione, sentenza 19761/2017

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