Il ristorante fallisce? No al caffettometro
È nullo l’avviso di accertamento a carico di un ristorante, fondato sul consumo di caffè, sul numero di tovaglioli e di contenitori per la pizza utilizzati nell’attività, nonché sull’antieconomicità della gestione imprenditoriale, se l’ufficio non ha considerato gli sfridi relativi a caffè, tovaglioli e contenitori, e non ha valutato che l’antieconomicità era poi sfociata nel fallimento dell’impresa, a causa proprio di quelle errate scelte imprenditoriali. È quanto desumibile dalla sentenza 2553/14/18 della Ctr Emilia Romagna (presidente e relatore Proto).
Nel caso di controllo a bar, ristoranti e pizzerie, il Fisco spesso conteggia i chilogrammi di caffè acquistati dal fornitore e, poi, suddividendoli per i 7 grammi necessari per servire una tazzina, determina il numero di tazzine complessive, potendo così pervenire - presumendo che a ogni caffè corrisponda un pasto somministrato a un certo prezzo medio - ai ricavi totali dell’attività.
Nel caso di specie, l’ufficio aveva anche considerato il numero di tovaglioli utilizzati (che corrisponde, in via presuntiva, al numero di pasti consumati), che rapportato al prezzo di un menù medio può consentire di calcolare induttivamente i ricavi totali.
Secondo la Cassazione, l’accertamento induttivo di maggiori ricavi può fondarsi anche su di un unico elemento presuntivo e non necessariamente su di una pluralità di fonti concordanti, purché dotato dei requisiti di gravità e precisione. Al numero totale dei tovaglioli (anche di carta, si veda Cassazione 16981/2018) utilizzati per la ricostruzione indiretta (tovagliometro), è comunque necessario sottrarre una certa percentuale di tovaglioli utilizzati per altri scopi, quali ad esempio i pasti di soci e dipendenti e le evenienze più varie: si tratta della cosiddetta percentuale di sfrido (Cassazione 20060/2014).
Nel caso di specie, invece, l’ufficio non aveva - secondo la Ctr - adeguatamente considerato tale sfrido, utilizzando soltanto il 5% per i tovaglioli e nulla per i contenitori di pizza. Per quanto riguarda i 7 grammi a tazzina, inoltre, secondo i giudici si tratta di un dato inadeguato ai fini accertativi. In effetti, la questione è controversa: la Cassazione si è espressa talvolta a favore (Cassazione 25482/2013, 10207/2018), altre volte contro affermando che il tazzinometro non costituisce fatto notorio utilizzabile (Cassazione 10204/2016).
Il comportamento apparentemente antieconomico, infine, ha sempre legittimato il ricorso all’accertamento presuntivo (Cassazione 10242 e 3387 del 2018 e 43/2019), con ribaltamento dell’onere probatorio a carico del contribuente, ma nel caso di specie la società alla fine era fallita e, quindi, è difficile poter ritenere utilizzabile la questione dell’antieconomicità ai fini accertativi, come rilevato dai giudici regionali.
Sentenza 2553/14/18 della Ctr Emilia Romagna