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Il Tar: la produzione di pane non è attività agricola connessa

Annullati i Dm che includevano l’attività di «seconda trasformazione» tra quelle connesse al reddito agrario con regime agevolato

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di Michela Finizio

Il pane prodotto dall’azienda agricola non è «attività connessa» all’agricoltura. Il Tar del Lazio, con la sentenza 4916/2021 del 28 aprile, ha annullato - nella parte relativa - i decreti ministeriali che includono la «produzione di prodotti di panetteria freschi» (Dm 5 agosto 2010), nonché la «produzione di pane» (Dm 17 giugno 2011), tra i beni che possono essere oggetto delle attività agricole connesse da cui deriva il reddito agrario ex articolo 32 del Tuir. Ne consegue, quindi, che questa attività non può essere assoggettata alla disciplina fiscale più favorevole prevista per i redditi agrari.

Discriminatorio nei confronti delle panetterie tradizionali

Si conclude così un primo round della “guerra del pane” innescata dal ricorso proposto dalla Fippa (Federazione italiana panificatori panificatori-pasticceri e affini) contro i decreti del ministero dell’Economia, in contrasto con le posizioni sostenute da Coldiretti, Confederazione italiana agricoltori e Confagricoltura.

Secondi i panificatori, i provvedimenti impugnati violerebbero i principi comunitari e nazionali in tema di concorrenza e aiuti di Stato: per prodotti agricoli dovrebbero intendersi esclusivamente i prodotti del suolo, dell’allevamento, della pesca e quelli di cosiddetta «prima trasformazione», tra cui i cereali e i prodotti della macinazione, espressamente enumerati nell’allegato I del trattato europeo; l’agevolazione fiscale concessa, inoltre, diventerebbe così un aiuto di Stato, peraltro mai notificato alla Commissione, determinando un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai tradizionali panificatori “non agricoltori”.

I prodotti di seconda trasformazione

Secondo i giudici del Tar, il pane non va incluso tra le attività connesse, essendo un’attività di «seconda trasformazione» (dal grano alla farina e dalla farina al pane), se non di «terza trasformazione» (dal grano grezzo al frumento, dal frumento alla farina e dalla farina alla produzione del pane). A tal fine il Tar ricorda che «si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali» (articolo 2135, Codice civile).

L’attività di panificazione non rientra tra le attività connesse a quella agricola in quanto «non relativa alla trasformazione di prodotti ottenuti direttamente dalla coltivazione del fondo». I giudici ricordano che le tecnologie alimentari rappresentano «il complesso delle operazioni e dei processi volti ad ottenere alimenti finiti o semilavorati dalle materie prime alimentari prodotte dall'agricoltura, dall’allevamento e dalla pesca». E la trasformazione del prodotto originario «implica la perdita, per effetto del processo di lavorazione, del suo primitivo carattere merceologico».

Ad esempio, la sentenza del Tar Lazio ricorda che si possono definire prodotti di «prima trasformazione» il vino (direttamente derivante dall’uva), l’olio (dalle olive), i formaggi (dal latte), lo zucchero (saccarosio) dalle bietole. Il pane e gli altri prodotti da forno, invece, non derivano direttamente da un prodotto agricolo (ad esempio, il grano) bensì dalla farina, che a sua volta costituisce trasformazione del grano, oltre che da altri ingredienti. Senza contare che nell’attività di panificazione vengono impiegati, solitamente, anche ingredienti che non provengono dall’industria alimentare di prima trasformazione, ma dall’industria chimica e biochimica, quali: aromi, conservanti, coloranti, addensanti, nutrienti, eccetera.

La conclusione del Tar Lazio e la sentenza

Di conseguenza, dopo un’attenta disamina, il Tar Lazio afferma che il regime tributario agevolato introdotto dai decreti ministeriali impugnati «è discriminatorio, nel senso che – in relazione alla medesima, ontologica, attività - distingue tra imprenditori non agricoli, per cui si applica l’ordinario regime del reddito di impresa, e imprenditori agricoli, ammessi ad un beneficium fiscale che, indi, finisce per diventare privilegium». La disposizione ha un effetto «effetto distorsivo della concorrenza» e, visto che è rivolta alla generalità delle imprese agricole e lesiva di tutte le altre (anche europee) che partecipano al mercato di riferimento, diventa aiuto di stato in quanto incide sugli scambi tra gli Stati membri. Ne discende la violazione da parte dello Stato italiano dell’obbligo di preventiva notifica alla Commissione.