Il titolare-residente nel B&B non ha diritto al superbonus del 110%
Il nostro Paese ha il record mondiale delle partite Iva. L’ultima rilevazione dettagliata è stata fatta dall’Istat con riferimento al secondo semestre del 2017, ponendo in evidenza che i lavoratori autonomi, imprenditori o professionisti, senza dipendenti raggiungono la consistenza di 3,65 milioni di soggetti.
Tra questi l’istituto, sulla base di indicazioni europee, ha individuato 338mila parzialmente autonomi, di cui 218mila Dse (dependent self-employed), privi di dipendenti che negli ultimi 12 mesi hanno avuto un cliente da cui hanno ricavato almeno il 75% dei proventi e che stabilisce i loro orari di inizio e fine giornata lavorativa.
Da quanto si sente in giro dai giovani neolaureati che vengono “assunti” con partita Iva, questo numero sembra errato ma per difetto.
Nessun dubbio statistico per gli oltre 3,5 milioni di titolari di partita Iva senza dipendenti, per i quali dobbiamo chiederci cosa si debba intendere per “luogo di esercizio dell’attività”.
Il modello di inizio attività
Al riguardo nel modello di inizio attività sono richieste due distinte indicazioni:
Quadro B – luogo di esercizio da indicare con indirizzo completo;
Quadro I – casella da barrare per luogo di esercizio aperto al pubblico.
Queste considerazioni ci portano alla necessità di un chiarimento conseguente alle numerose pronunce dell’agenzia delle Entrate, di cui l’ultima in ordine di tempo è la risposta a interpello numero 65 del 28 gennaio 2021.
Stiamo parlando della limitazione del superbonus del 110% e degli altri bonus, tra cui il sismabonus richiamato nella suddetta risposta: «Se gli interventi sono realizzati su unità immobiliari residenziali adibite promiscuamente all’esercizio dell’arte o della professione, ovvero all’esercizio dell’attività commerciale, la detrazione spettante è ridotta al 50%, quindi la detrazione è calcolata sul 50% delle spese sostenute».
Il caso
Nel caso oggetto del quesito si trattava dell’utilizzo occasionale come bed and breakfast dell'immobile di proprietà, in cui risiede l’interpellante.
A questo punto vale la pena di cessare questa attività, in quanto i relativi proventi saranno presumibilmente inferiori alla perdita del 50% del beneficio per le spese di efficientamento energetico o di riduzione del rischio sismico.
Ma soprattutto bisogna interrogarsi quali conseguenze per la fruizione del bonus comporta la titolarità di una partita Iva senza dipendenti in un immobile senza nessun accesso di terzi, molto spesso in una sola stanza dell’abitazione, o se di limitata superficie occupando unicamente l’anta di un armadio dove riporre tutti i propri documenti fiscali.
Ovvio che i tre e rotti milioni di persone che si trovano in questa condizione sono tenuti ad indicare come “luogo di esercizio” l’indirizzo di casa, cioè dell’immobile che costituisce la residenza sia anagrafica che fiscale.
Urgente un chiarimento
Eliminiamo pure chi ha il locale aperto al pubblico, ma possiamo dire che in queste situazioni generalizzate l’immobile da totalmente abitativo è diventato un immobile a utilizzo promiscuo, che perde addirittura metà dell’agevolazione edilizia?
Il buon senso direbbe decisamente di no, ma occorre evitare il rischio che dopo aver sostenuto ingenti spese nella prospettiva di rientrare in tutto o in parte con i bonus, l’amministrazione finanziaria adotti un approccio meramente formalistico, contrario alla ratio legis, contestando la totalità del credito di imposta.
Un chiarimento formale in questo senso darebbe una adeguata tranquillità, finalizzata a stimolare la ripresa dell’edilizia con questi rilevanti lavori.