Il valore dell’impresa non si determina sul canone d’affitto
Un caso particolare è rappresentato dalla cessione di una azienda che, al momento della cessione, è concessa in affitto a terzi. Ricorrendo tale ipotesi, come confermato dalla Cassazione con la sentenza 18940/2018, la metodologia di valutazione dell’avviamento rimane la medesima, ovvero quella basata sui ricavi e sulla redditività dell’azienda (in tal caso in capo all’affittuario).
Non è, invece, stata applicata la tesi in base alla quale il valore dell’azienda affittata, compreso l’avviamento, possa essere determinato sulla base del canone di affitto percepito dal concedente. Il canone d’affitto, infatti, non necessariamente rappresenta la redditività dell’azienda gestita dall’affittuario, anche se costituisce un possibile indicatore di questa (Cassazione 22503/2015).
Ciò in quanto il canone deriva da una negoziazione delle parti che è intervenuta al momento dell’avvio del contratto, quando la redditività dell’azienda poteva anche essere diversa da quella attuale. Dunque il canone può non essere sempre rappresentativo del «valore venale in comune commercio» dell’azienda che costituisce la base imponibile dell’imposta di registro.
Nella cessione d’azienda precedentemente affittata è pertanto necessario calcolare il valore corrente dell’azienda stessa in funzione della redditività e del fatturato realizzato in capo all’affittuario, con la complicazione che devono essere acquisite informazioni da un soggetto terzo, quale è, appunto, l’affittuario.
Tutto ciò significa che dopo un periodo di affitto il valore dell’avviamento può rimanere quello esistente all’inizio dell’affitto ma può anche aumentare (o diminuire) in funzione dei risultati che sono raggiunti dall’affittuario.
Spesso nella pratica questi aspetti vengono sottovalutati perché dopo un certo periodo di affitto, il concedente cede l’azienda all’affittuario senza tenere conto del valore dell’avviamento, con conseguente accertamento ai fini dell’imposta di registro da parte dell’amministrazione finanziaria.
Qualora si addivenga alla cessione dell’azienda al termine di un periodo di affitto occorre invece, in linea di principio, considerare, ai fini della determinazione della base imponibile dell’imposta di registro, l’intero valore dell’avviamento calcolato sulla base della redditività dell’azienda, presso l’affittuario, alla data della cessione.
Come si ricava da alcune recenti pronunce della giurisprudenza (Corte di cassazione 24064/2018 e 7750/2019), l’unico modo per non dover pagare l’imposta di registro sul valore pieno dell’avviamento al momento della cessione dell’azienda affittata è quello di prevedere nel contratto di affitto, in modo esplicito, che il canone pattuito dalle parti va a remunerare non solo il godimento dell’azienda ma anche la «perdita» dell’avviamento in favore del conduttore, nella prospettiva di un futuro acquisto dell’azienda.
In tal modo l’avviamento viene di fatto ceduto progressivamente durante la gestione in affitto dell’azienda e alla conclusione dello stesso si potrà cedere l’azienda – al precedente affittuario - senza valorizzare l’avviamento.