Controlli e liti

Il versamento della Srl non è imputabile ai soci

di Salvina Morina e Tonino Morina

Fisco bocciato due volte, in primo e secondo grado. Per la Commissione tributaria regionale del Lazio, prima sezione, deve essere respinto l’appello dell’ufficio che ha fondato l’accertamento su indagini bancarie con presunzioni semplici, senza alcuna prova grave precisa e concordante (sentenza 1615/01/2018, pronunciata il 23 gennaio 2018 e depositata il 13 marzo 2018). Ecco i fatti.

Dall’accertamento alla sentenza di primo grado
L’agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Latina, a seguito di indagini bancarie sui conti correnti di una società a responsabilità limitata e dei due soci al 50%, emette un accertamento per l’anno 2009, accertando maggiori redditi per 176.116,00 euro e maggiori corrispettivi non contabilizzati pari a 231.577,36 euro. A seguito del ricorso presentato dai contribuenti, la Commissione tributaria provinciale di Latina, con sentenza 1212/06/15, depositata il 29 settembre 2015, accoglie il ricorso nel merito perché «riteneva illegittimo l’accertamento, in quanto fondato sulle risultanze di indagini finanziarie svolte su conti bancari di terzi, rispetto a quelli della società, in mancanza di elementi gravi, precisi e concordanti sul coinvolgimento degli stessi terzi, posto che nel caso di accertamento su conti di terzi, non si tratta di presunzione ex lege di maggiori redditi, ma di presunzione che deve fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti che l’ufficio ha l’onere di indicare».

L’appello del Fisco
Contro la sentenza dei giudici di primo grado, l’ufficio presenta l’appello, insistendo sulla correttezza dell’operato, in quanto i contribuenti non sono stati in grado di fornire elementi giustificativi concernenti le movimentazioni finanziarie e quindi alcuna prova in merito alla non assoggettabilità a tassazione delle stesse. Per l’ufficio, l’accertamento è legittimo in quanto sono molti gli elementi di contatto tra i conti correnti personali dei due soci e la società e «per questo è fondatamente presumibile la riferibilità alla società di tali movimentazioni, peraltro rimaste senza giustificazione» posto altresì che uno dei due soci è amministratore della società.

La sentenza di giudici di secondo grado
Per i giudici di secondo grado, rimane invece illegittimo l’accertamento dell’ufficio «poiché, per il caso di indagini sui conti di terzi, come nella specie ove la società di capitali è soggetto diverso e terzo rispetto ai soci si fuoriesce dall’ambito della prova presuntiva ex lege di cui all’articolo 32 del Dpr 600/73 e si entra nell’ambito delle prove presuntive semplici, per le quali è onere dell’ufficio indicare elementi gravi, precisi e concordanti a sostegno della fondatezza dl proprio assunto». Nel caso in esame, l’ufficio «nulla ha provato circa la concreta correlazione esistente tra le movimentazioni bancarie dei conti personali e la gestione societaria, per esempio, più in particolare, dimostrando che un prelevamento effettuato dal socio dal proprio conto bancario fosse correlato ad un costo dell’impresa, ovvero che un versamento effettuato dal socio fosse correlabile a ricavi occulti della società».

Insomma, come insegna la Cassazione, è illegittimo l’accertamento che poggia unicamente su elementi presuntivi, che a loro volta sono dedotti da altre presunzioni, ponendosi incontestabilmente nel divieto delle doppie presunzioni o presunzioni a catena, cosiddetto «praesumptio de praesumptio». Il divieto della doppia presunzione vieta la correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice (Cassazione, sentenza 1023/08), facendo cadere sul nascere le labili e inconsistenti motivazioni sulle quali si basa l’accertamento. Secondo gli insegnamenti della stessa amministrazione finanziaria, per sostenere un atto impositivo occorrono infatti prove gravi, precise e concordanti.

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