Controlli e liti

Immobili, sul maggior valore il Fisco smentisce la perizia

di Rosanna Acierno

Gli avvisi che rideterminano il valore di compravendita di un immobile – accertando ai fini dell’imposta di registro un importo più alto di quello dichiarato nell’atto – non sono certo una novità. C’è però un trend recente, rilevato in diversi atti delle Entrate, in base al quale la determinazione del maggior valore (soprattutto per i fabbricati a uso terziario) avviene senza alcun sopralluogo, utilizzando le informazioni e i dati presenti nella perizia di stima redatta da un tecnico incaricato dagli stessi acquirenti o dai venditori dell’immobile.

Vedi il grafico con i passaggi chiave

L’accertamento

Tutto comincia con la convocazione di venditore e acquirente dell’immobile per acquisire informazioni e documenti su come sia stato, di fatto, determinato il prezzo di compravendita. Se poi l’acquirente o il venditore producono una perizia di stima dell’immobile volta a dimostrare la congrua determinazione del valore di compravendita dichiarato nell’atto, l’ufficio delle Entrate, partendo proprio dai dati forniti dal tecnico e relativi, ad esempio, alla superficie del fabbricato o agli eventuali contratti di locazione in essere, procede, senza sopralluogo, con la rettifica.

Utilizzando informazioni “certe”, perché fornite direttamente dal contribuente, gli accertatori rettificano il maggior valore del fabbricato e liquidano la maggiore imposta di registro attraverso, come stabilito dalla legge, secondo i casi:

- le quotazioni dell’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi) sui prezzi di vendita al metro quadrato delle medesime categorie di immobili oggetto di cessione;

- la capitalizzazione dei redditi di locazione;

- la media delle risultanze di tutte queste metodologie.

Gli elementi per il calcolo

Secondo l’articolo 51 del Dpr 131/1986, ai fini della rettifica del valore dell’immobile dichiarato nell’atto di compravendita, oltreché al prezzo emergente da apposite perizie redatte nello stesso periodo e nei tre anni antecedenti, l’ente impositore può fare riferimento al prezzo comunemente praticato in commercio nel medesimo contesto territoriale e nel medesimo lasso temporale o anche alla redditività netta degli immobili capitalizzata al tasso mediamente applicato alla data dell’atto.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi accade che, ai fini della rettifica, gli uffici considerino solo alcuni dei dati riportati in perizia (ad esempio le esatte misure dell’immobile), senza tener conto invece di altri elementi e circostanze (anche esse in perizia) che hanno portato il tecnico ad asseverare, appunto, un valore più basso.

Generalmente, infatti, nel caso di stima del maggior valore basata sulle quotazioni dell’Omi, l’ufficio “prende” come dato certo soltanto la superficie indicata in perizia, senza però tenere conto di altre informazioni quali, ad esempio, le eventuali spese per interventi di ristrutturazione già sostenute o ritenute necessarie che dimostrano le condizioni dell’immobile non standard e giustificano un valore inferiore.

O ancora, nel caso di stima del maggior valore sulla base della capitalizzazione dei redditi di locazione, spesso l’ufficio considera soltanto il dato iniziale dei contratti di locazione in corso e dei relativi canoni di locazione così come rilevati in perizia, senza valutare i costi di gestione relativi all’imposta sugli immobili, o i rischi connessi ai mancati incassi dei canoni, o ancora il deprezzamento del fabbricato compravenduto, anch’essi stimati in sede di perizia.

In tal caso, prima di impugnare l’atto e ricorrere al giudice tributario, è opportuno fare un tentativo con l’ufficio, attraverso un’istanza di autotutela o di accertamento con adesione, affinché consideri le altre circostanze addotte dal perito, comprovate magari da opportuna documentazione.

Vedi il grafico con i passaggi chiave

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©