Impatriati, il cambio di lavoro non blocca la detassazione
I lavoratori impatriati che hanno i requisiti per poter beneficiare degli incentivi fiscali per l’attrazione del capitale umano in Italia, ex articolo 16 comma 2 Dlgs 147/2015, non dovranno preoccuparsi se nel corso dei 24 mesi lavorati all’estero hanno cambiato datore di lavoro. Sul punto, il Mef, nel corso del question time dello scorso 31 luglio tenutosi in commissione Finanze alla Camera ( clicca qui per consultarlo ), ha chiarito che il requisito della «continuità del rapporto di lavoro» è soddisfatto anche in tale caso se tra un contratto e l’altro intercorrono solo giorni festivi.
Il combinato disposto agli articoli 16 comma 2 Dlgs 147/2015 e articolo 2 comma 1 legge 238/2010 prevede un’esenzione del 50% (a decorrere dal 2017) del reddito di lavoro prodotto in Italia per 5 anni dall’anno di acquisizione della residenza fiscale nello Stato italiano per i cittadini dell’Unione europea e i cittadini di Stati diversi da quelli appartenenti all’Unione europea, con i quali sia in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, che:
•sono in possesso di una laurea triennale o magistrale;
•hanno svolto un’attività di lavoro dipendente, autonomo o di impresa o hanno studiato; conseguendo un titolo accademico all’estero per almeno 24 mesi;
•trasferiscono la residenza fiscale in Italia ex articolo 2 Tuir;
•svolgono attività di lavoro autonomo o dipendente in Italia
Il requisito “sostanziale” della continuità dell’attività di lavoro, o di studio, svolta fuori dal territorio italiano negli ultimi 24 mesi (o più) ha suscitato non poche perplessità tra i possibili aventi diritto, sia per quanto riguarda il periodo da considerare (se trattasi dei 2 anni immediatamente precedenti al trasferimento) sia la possibilità di cambiare il datore di lavoro nel corso di tale periodo.
Relativamente alla prima incognita è intervenuta l’agenzia delle Entrate con la circolare 17/E/2017 nella quale ha chiarito che «il requisito dello svolgimento dell’attività di lavoro o studio all’estero in modo continuativo negli ultimi ventiquattro mesi, non deve necessariamente far riferimento all’attività svolta nei due anni immediatamente precedenti il rientro, essendo sufficiente che l’interessato, prima di rientrare in Italia, abbia svolto tali attività all’estero per un periodo minimo e ininterrotto di almeno ventiquattro mesi».
Per quanto attiene, invece, il secondo dubbio è intervenuto il ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale, come anticipato, in risposta a un’interrogazione parlamentare nel corso del question time dello scorso 31 luglio ha chiarito che «nel caso in cui si verifichi un’interruzione tra il termine del primo contratto e l’inizio del secondo dovuta esclusivamente al ricorrere di un giorno festivo deve ritenersi, in linea generale, comunque soddisfatto il requisito «sostanziale» della continuità dell’attività di lavoro svolta all’estero».
Il Mef però se da un lato da una risposta “netta e certa” nel caso in cui tra i due rapporti di lavoro intercorrono giorni festivi, dall’altro lascia aperti i dubbi sulla possibilità avere riconosciuta l’agevolazione fiscale in commento se tali giorni sono feriali specificando che «a diverse conclusioni può, invece, giungersi in situazioni diverse da quella specificamente rappresentata, trattandosi di valutare le singole circostanze alla luce della ratio della disciplina agevolativa in commento», invitando gli interessati a ricorrere all’istituto dell’interpello ex articolo 11 comma 1 legge 212/2000.