Contabilità

Impedire l’assemblea è nella facoltà del socio

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di Patrizia Maciocchi

Non può essere condannato, per ostacolo al controllo, il socio che impedisce la valida costituzione dell’assemblea, se lo fa limitandosi a non convocarla.

La Corte di cassazione, con la sentenza 2310 depositata ieri, respinge il ricorso dei soci di una società per azioni contro la scelta del Gip di dichiarare il non luogo a procedere nei confronti dell’imputato, accusato di aver impedito il controllo degli altri soci (articolo 2625 del Codice civile), non convocando l’assemblea per discutere la nomina del nuovo amministratore e presentando istanza di fallimento. Condotte che, secondo i ricorrenti, avevano provocato un danno alla compagine di famiglia.

I frequenti dissidi fra soci avevano portato a continui cambiamenti dell’organo amministrativo della società, con altrettanti ripensamenti delle strategie aziendali, come accaduto con un contratto d’affitto d’azienda, stipulato con una società e poi risolto ma solo per concluderne un altro con una Srl: società tutte riconducibili allo stesso gruppo familiare. Per i ricorrenti il Gip era andato oltre il suo “mandato” . Decidendo per il non luogo a procedere, aveva di fatto anticipato un giudizio sul merito dei fatti.

Per la Cassazione però non è così. Il Gip si era limitato a valutare la fondatezza dell’accusa, per concludere che non c’erano possibilità che reggesse in dibattimento e portasse ad una condanna.

Per la Suprema corte si è trattato di una giusta ”intuizione”. Le azioni contestate all’imputato sono, infatti, semplicemente omissive, mentre perché scatti la punizione per l’impedito controllo, prevista dall’articolo 2625, servono invece degli “artifici”, un cambiamento della realtà, messo in atto grazie ad una condotta attiva.

Per la Suprema corte questa non c’è stata. L’ accusato si è mosso, anzi, nella più assoluta trasparenza societaria, utilizzando specifiche facoltà previste per i soci che possono non presenziare alle assemblee « senza che ciò, di per sé, possa costituire un artificio, e cioè un espediente per raggiungere un qualunque diverso risultato». E, nel caso esaminato, secondo l’imputazione, il fine sarebbe stato quello di impedire l’attività di controllo ai soci di minoranza.

A dimostrazione del clima “teso” nella compagine familiare, i giudici sottolineano la circostanza che nel ricorso si lamenta, ancor più della mancata tenuta delle assemblee, la scarsa attenzione e l’assenza di risposte adeguate ai rilievi e ai quesiti posti dai querelanti. Ma per la Suprema corte tutto ciò non è penalmente rilevante.

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