Controlli e liti

Imponibili le somme riversate a terzi come tangenti

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di Alessandro Borgoglio

Le somme percepite da soggetti che le riversino a terzi a titolo di tangente sono imponibili secondo la disciplina dei profitti da reato, essendo irrilevante il fatto che non siano trattenute dal soggetto percipiente, ma siano trasmesse a terzi in base all’accordo relativo alla tangente. È quanto si desume dall’ ordinanza 27415/2019 della Cassazione .

Secondo l’articolo 14, comma 4, della legge/1993, nelle categorie di reddito all’articolo 6, comma 1, del Tuir - ovvero redditi fondiari, di capitale, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, di impresa e diversi - devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale; i relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria.
Con l’articolo 36, comma 34-bis, del Dl 223/2006 è stato poi stabilito che l’articolo 14, comma 4, si interpreta nel senso che i proventi illeciti, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, comma 1, del Tuir, sono comunque considerati come redditi diversi.

In sede parlamentare (si veda l’interrogazione parlamentare n. 5-04750 del 25 maggio 2011) è anche stato precisato che devono, ad esempio, essere assoggettati a tassazione i redditi di lavoro autonomo o di impresa derivanti da attività illecite esercitate in assenza di un requisito previsto dalla legislazione extrafiscale in materia (mancata iscrizione ad albo professionale, mancato possesso dei requisiti o titoli di studio richiesti per lo svolgimento dell’attività, mancanza di licenza di commercio o di altra autorizzazione amministrativa, ovvero con violazione di prescrizioni obbligatorie, o di disposizioni della contrattazione collettiva). Sono imponibili, inoltre, in quanto classificabili tra i redditi di capitale, i proventi derivanti dall’attività di usura (circolare ministero delle Finanze 150 del 10 agosto 1994).
Il legislatore, quindi, ha comunque voluto rendere imponibili tutti quei proventi che derivano dal compimento di fatti illeciti.

Le disposizioni sono state esaminate dalla Suprema corte, che in passate occasioni ha stabilito che l’articolo 14, comma 4, già citato, laddove stabilisce che nelle categorie di reddito devono intendersi ricompresi i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo costituisce interpretazione autentica dell’articolo 6 del Tuir. Ne consegue che il «pretium sceleris» si deve considerare come reddito imponibile, e ciò pure se il contribuente sia stato condannato alla restituzione delle somme illecitamente incassate ed al risarcimento dei danni cagionati (Cassazione 21746/2005).

Con la sentenza qui commentata è stato infine stabilito che l’articolo 14, comma 4, trova applicazione anche alle somme percepite da soggetti che si siano prestati, in base ad accordi precedentemente intercorsi, a riversare dette somme a terzi a titolo di “tangente”, essendo del tutto irrilevante, quanto all’imponibilità di tale tipo di reddito, l’intenzione di non trattenerle nel proprio esclusivo interesse, bensì di trasmetterle a terzi in base ai suddetti accordi.

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