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Imposta sulla benzina, niente rimborso se il tributo è stato traslato sul consumatore

L’erogazione dell’importo rischia di determinare un arricchimento indebito del fornitore

Sebbene l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione (Irba) sia incompatibile con il diritto unionale, la legittimazione attiva al rimborso è esclusa per il soggetto passivo che abbia traslato l’onere impositivo su altri soggetti. È quanto emerge dalla sentenza 367/2/2023 della Cgt Torino. E, infatti, così operando, l’erogazione del rimborso determinerebbe un arricchimento indebito del fornitore, posto che quest’ultimo ha traslato il tributo sul consumatore finale.

Imposta incompatibile con il diritto unionale

L’Irba è una imposta indiretta non armonizzata propria delle Regioni e diretta ad assicurare il finanziamento degli enti locali.

Tale imposta indiretta soggiace alle disposizioni eurounitarie: colpendo i consumi, è in grado di alterare il corretto funzionamento del mercato unico creando delle distorsioni della libera concorrenza.

Per tale ragione, trova applicazione la direttiva n. 2008/118/Ce, che ha previsto la possibilità per gli Stati membri di applicare ai prodotti già sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme comunitarie applicabili per le accise o per l’Iva in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta.

In altri termini, gli Stati membri possono introdurre una ulteriore imposte indiretta sui prodotti già sottoposti ad accisa solo in presenza di una «finalità specifica», configurando detta ulteriore imposta come una sorta di «imposta di scopo».

L’assenza di finalità specifica

La Cassazione si è di recente pronunciata con riguardo all’Irba (si veda la Cassazione n. 6858/2023) e, richiamando anche la giurisprudenza unionale sul tema (Cgue, causa C-255/20), ha rilevato che il gettito dell’Irba istituita dalli Regioni fosse destinato a uno scopo di mero bilancio. Ed infatti, le presunte finalità specifiche non sono mai state concretamente perseguite dagli Enti locali, stante l’assenza di capitoli di bilancio ad essa dedicati e la dimostrazione dell’effettività di scopo perseguita con tali gettiti.

Da ciò consegue l’incompatibilità di tale imposta con il diritto eurounitario, con la necessaria disapplicazione della stessa e il riconoscimento della possibilità per il contribuente di richiedere a rimborso le somme indebitamente versate.

In ogni caso, il diritto al rimborso sussiste solo nel caso in cui non vi sia stata la traslazione del tributo sul consumatore finale.

In materia di accise, il fornitore, soggetto passivo dei tributi, non si comporta come un sostituto d’imposta, ma è tenuto in proprio a versare le accise, ed è lasciato libero dalla legge di esercitare la rivalsa nei confronti del consumatore finale, il quale rimane un soggetto del tutto estraneo al rapporto tributario.

Nel caso di traslazione, però, il contribuente non potrà chiedere a rimborso l’imposta incompatibile con il diritto unionale, in quanto si determinerebbe una ipotesi di arricchimento indebito.

Del resto, anche l’articolo 29, comma 2, della legge 428/1990 dispone che le imposte incompatibili con il diritto unionale vengono rimborsate salvo che l’onere sia stato trasferito su altri soggetti: in quest’ultimo caso, dunque, il contribuente non avrebbe titolo per chiedere la restituzione del tributo incompatibile, in quanto il peso dell’imposizione grava su altro soggetto.

La pronuncia in commento è pienamente condivisibile, in quanto applica correttamente tanto i principi unionali in tema di imposte armonizzate e non, nonché le norme interne in tema di rimborso.