Imposta di registro, la forma prevale sulla sostanza
La sentenza 158/2020 della Consulta restituisce centralità alla tassazione degli atti secondo il loro preciso significato giuridico
Con la sentenza 158 dello scorso 10 giugno 2020 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Cassazione, riconoscendo una valenza sistematica all’intervento del legislatore del 2017 sull’articolo 20 del Testo unico dell’imposta di registro, che si pone in «sostanziale conformità alla sua origine storica di imposta d’atto».
È stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Cassazione per violazione degli articoli 53 e 3 nella parte in cui dispone che si debbano considerare gli effetti giuridici dell’atto presentato «prescindendo da quelli extratestuali ad esso collegati».
La Corte (si veda l’articolo di NT+ Fisco) torna a ribadire la regola fondamentale del tributo di registro, contro le fughe in avanti della interpretazione “evolutiva” della Cassazione remittente e della prassi amministrativa.
L’atto è tassato prendendo in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, intesi quali effetti giuridici del negozio veicolato in un documento, avendo riguardo all’effettiva sostanza giuridica emergente dal contenuto dell’atto.
Gli effetti giuridici tassabili (traslativi o dichiarativi) dell’atto presentato alla registrazione vengono individuati in base al contenuto e alle disposizioni di esso, secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al testo unico, «senza che possano essere svolte indagini circa effetti ulteriori, salvo che ciò sia espressamente stabilito dalla stessa disciplina del testo unico».
La nuova formulazione dell’articolo 20 e la norma di interpretazione autentica di esso chiariscono che la tassazione deve avvenire in base ai soli effetti giuridici prodotti dall’atto sottoposto a registrazione. Con la sua ordinanza 23549/19 la Cassazione dava rilievo alla prevalenza della sostanza sulla forma, quale principio imprescindibile, tutt’altro che costituzionalmente necessitato. Al contrario, la Consulta è chiarissima nel dire che non può essere accolta l’interpretazione della Cassazione.
Il presupposto d’imposta individuato dal novellato articolo 20 Tur «deve essere vagliato alla luce della disciplina del tributo nel suo complesso», a partire dalle radici storiche della questione in discussione. Già l’articolo 19 del Dpr 634/1972, relativo all’interpretazione degli atti, stabiliva l’espresso riferimento agli «effetti giuridici»: l’imposta deve essere applicata secondo la natura e il contenuto dell’atto desumibile esclusivamente dalle sue disposizioni.
L’interpretazione sostanzialista è riemersa – illustra la Consulta – nella prospettiva del contrasto all’abuso del diritto, fino a sostenere che l’articolo 20 consentirebbe di individuare la reale operazione economica perseguita dalle parti, in ragione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma. In realtà, un opposto indirizzo (Cassazione 2054/17, 722/19, 6790/2020) ha dato conto che la riqualificazione non può travalicare lo schema negoziale tipico.
La pronuncia della Corte esprime, in una sorta di saggio breve, una profonda e acuta disamina degli atti, del testo normativo e del contesto, in chiave strutturalista, giurisprudenziale, dottrinale e legislativo. Proprio la giurisprudenza della Cassazione 2054/2017 è stata richiamata nella relazione illustrativa della legge 205/2017 (articolo 1, comma 87), stabilendo espressamente che, nell'interpretare l'atto presentato a registrazione, ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro, si debba prescindere dagli elementi «extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».
Tale presa di posizione del legislatore conferma la tassazione isolata del negozio veicolato dall’atto presentato alla registrazione secondo gli effetti giuridici da esso desumibili. Perciò, è coerente con i principi ispiratori della disciplina dell'imposta di registro e, in particolare, con la natura di “imposta d'atto” storicamente riconosciuta al tributo di registro dopo la sostanziale evoluzione da tassa a imposta.
Non c’è di regola un concetto economico dietro una vicenda contrattuale. La prevalenza economica non ha trovato conforto nella dottrina prevalente dal Dopoguerra ad oggi.
Anzi, l’interpretazione evolutiva, patrocinata dal rimettente, di detto articolo 20, incentrata sulla nozione di “causa reale”, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’articolo 10-bis della legge 212 del 2000. La Corte precisa che tale lettura consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea).
In conclusione, la decisione della Consulta merita di essere approfondita ulteriormente per la sua dimensione sistematica, conciliata assai bene con l’essenza del diritto tributario come politica.
Non solo restituisce centralità alla tassazione degli atti secondo il loro preciso significato giuridico. Ma pure sembra restituire – in modo finemente sotteso - alla Cassazione il ruolo che le è deputato: rispettare gli stampi giuridici e cessare di essere la longa manus dell’amministrazione finanziaria.