Imposte

Imu dei coniugi, rimborsi più rapidi con la prova bollette

Dopo la sentenza della Consulta via libera alle istanze per chi ha abitazioni separate. I consumi dimostrano la doppia dimora. Gli effetti sui giudizi in corso

di Dario Aquaro e Cristiano Dell’Oste

Non è un “liberi tutti” quello annunciato dalla Corte costituzionale per i coniugi che abitano in case diverse. La sentenza 209 dello scorso 13 ottobre conferma l’obbligo di pagare l’Imu per chi ha la residenza in un immobile, ma non anche la dimora effettiva.

I giudici della Consulta hanno stabilito che – per considerare una casa come «abitazione principale» ai fini Imu – è sufficiente che vi dimori e vi risieda il suo possessore, anche senza il resto del nucleo familiare. Un principio che spalanca le porte dell’esenzione ai coniugi che abitano in case diverse, anche nello stesso Comune.

In Italia le prime case, indicate come tali in dichiarazione dei redditi, sono 19,5 milioni (cifra che include anche molte delle doppie abitazioni, anche se la nozione di abitazione principale Imu non è identica a quella delle imposte dirette). Le case a disposizione sono invece 5,5 milioni.

Chi ha versato l’imposta è ora autorizzato a chiedere il rimborso (la domanda si può fare entro cinque anni dal versamento). In generale, è chi fa l’istanza a dover dimostrare il proprio diritto. Ma come documentare l’effettiva dimora? La prova più semplice è quella tramite le bollette delle utenze domestiche (acqua, elettricità, gas). Anche i documenti periodici riportano la sintesi dei consumi annui. La scelta del medico di base è un altro elemento che può comprovare il fatto che la residenza non è fittizia.

Chi non ha pagato – e rispetta i requisiti – viene in qualche modo sollevato dalla pronuncia della Consulta. Ma nella pratica possono verificarsi anche altre situazioni. Molti Comuni, infatti, avevano avviato campagne specifiche di riscossione nei confronti dei coniugi con residenze diverse, appoggiandosi sulla giurisprudenza più severa della Cassazione (per intenderci, proprio quella ora superata dalla Corte costituzionale).

Chi ha ricevuto un avviso d’accertamento da un Comune nell’ambito di una di queste campagne e l’ha pagato, in linea di massima non potrà chiedere il rimborso, perché la posizione è cristallizzata. Idem per chi non ha pagato l’avviso, ma ha lasciato passare invano i 60 giorni per l’impugnazione: in un modo o nell’altro, dovrà saldare il conto. Se invece su quell’avviso si è aperta una lite tributaria che è ancora pendente, il discorso si complica e dipende anche da come era motivato l’accertamento iniziale.

Un’arma che finora i Comuni hanno usato poco per individuare le residenze fittizie è il portale Punto Fisco delle Entrate, la banca dati con i consumi comunicati dalle utility . La lettura dei dati richiede risorse tecniche che spesso gli uffici non hanno attivato, anche perché prima bastava contestare la doppia residenza. Ma lo scenario potrebbe cambiare dopo la pronuncia della Consulta.

LE SITUAZIONI

1. Prova con le utenze

CHI HA PAGATO PUÒ CHIEDERE IL RIMBORSO

I coniugi con residenze e dimore separate in uno stesso Comune o in Comuni diversi, se hanno pagato l’Imu su una di esse – o addirittura su entrambe – potranno chiedere il rimborso di quanto versato. L’istanza può essere presentata entro 5 anni dalla data di versamento (il primo a “scadere” è il saldo 2017).

Chi chiede il rimborso deve dimostrare di aver avuto nell’immobile non solo la residenza, ma anche la dimora (in primis, con le bollette che provano i consumi di acqua, gas ed elettricità). Se il Comune rifiuta il rimborso – anche con silenzio diniego – si può fare ricorso.

2. Accertamento definitivo

AVVISO NON IMPUGNATO: NON CI SONO RIMEDI

Il coniuge che ha ricevuto un accertamento da un Comune che gli contestava il mancato pagamento dell’Imu e non l’ha impugnato nel termine di legge (60 giorni) non ha rimedi, neppure se non ha ancora pagato il dovuto, perché l’atto è ormai definitivo. Potrebbe essere il caso di chi è incappato nelle campagne dei Comuni turistici contro le residenze fittizie.

Nessun rimedio neppure se l’atto è stato impugnato, ma è arrivata una sentenza definitiva a favore del Comune.

3. Giudizio in corso

PIÙ STRADE POSSIBILI PER USCIRE DALLA LITE

Il caso più complesso è quello di chi ha impugnato un avviso di accertamento ricevuto da un Comune che gli contestava il mancato pagamento dell’Imu su una delle due abitazioni dei coniugi. Se il giudizio è ancora in corso, toccherà al giudice decidere come affrontare la questione, che potrebbe richiedere di documentare “ora per allora” l’effettività della dimora nella casa in cui il coniuge aveva la residenza. A meno che il Comune non annulli i propri atti chiedendo di compensare le spese di lite.

4. La compensazione

L’ACCONTO 2022 SI PUÒ SCALARE DAL SALDO

I coniugi con residenze e dimore divise che lo scorso 16 giugno hanno pagato l’acconto Imu su una o su entrambe le abitazioni potranno scalare quanto versato dal saldo del 16 dicembre, a patto di possedere altri immobili su cui sono tenuti a pagare il tributo (altrimenti, potranno scomputare le somme dal dovuto del 2023 se il Comune lo consente). Andrà inoltre verificato se serva segnalare al Comune la variazione del codice tributo di quanto pagato in acconto. L’alternativa è chiedere rimborso.

5. Gli esclusi

CONVIVENTI DI FATTO E RESIDENZE FITTIZIE

La sentenza 209/2022 della Corte costituzionale non riguarda i conviventi di fatto (non sposati né uniti civilmente), perché nel loro caso, se dimora e residenza sono divise, c’è sempre stata doppia esenzione, anche prima della pronuncia della Consulta.

Non è interessato dalla sentenza anche chi, pur essendo sposato, ha una residenza fittizia in un’altra abitazione (cioè non ha anche la dimora). Ma qui il motivo è opposto: non si ha diritto all’esenzione.

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