Controlli e liti

Imu, lo stop della Consulta annulla solo i ricorsi pendenti

Gli effetti della sentenza n. 209/2022 che permette l’esenzione ai coniugi con due case

di Pasquale Mirto

L’abitazione principale è quella dove il soggetto passivo ha residenza anagrafica e dimora abituale, essendo irrilevante il luogo di residenza e dimora degli altri componenti della famiglia.

Nella sentenza n. 209/2022  la Corte costituzionale ha praticamente riscritto la definizione di abitazione principale, dichiarando l’illegittimità della normativa nella parte in cui si richiedeva la residenza e la dimora anche dei componenti della famiglia; in questo modo si legittima lo spacchettamento della famiglia, sia all'interno dello stesso Comune sia in Comuni diversi, sempre a condizione che si tratti di spacchettamento reale, con residenza e dimora effettiva in due immobili diversi.

Conseguentemente, oltre all’illegittimità costituzionale delle previsioni contenute nel Dl 201/2011, rimasto in vigore fino al 2019, e nella legge 160/2019 (nuova Imu), è caduto anche l’ultimo intervento normativo (dl 146/2021), che per contrastare l’interpretazione restrittiva (ma aderente alla norma) della Cassazione, aveva aperto al possesso di un’abitazione principale anche nel caso di spacchettamento della famiglia su due Comuni diversi.

Ma la Corte va oltre, essendo ben consapevole del fenomeno delle residenze fittizie. Queste non potranno più essere contrastate dai Comuni con la semplice verifica dello spacchettamento della famiglia, oggi irrilevante, ma dovranno essere provate con l’assenza di dimora abituale. E la Corte ricorda anche che questa assenza può essere provata dai Comuni mediante i consumi dei servizi in rete, dati già in possesso dell’ente. In effetti ai Comuni, tramite Punto Fisco, vengono già trasmessi i dati relativi alle utenze acqua, gas ed energia elettrica. Pertanto, considerato che ora il beneficio dell’esenzione Imu per abitazione principale richiede la residenza anagrafica e la dimora abituale da parte del soggetto passivo, l’assenza di dimora, provata dal Comune, fa venir meno il diritto all’esenzione.

Questo per il futuro. Per il passato i comuni dovranno gestire le situazioni più disparate , soprattutto quelli che sulla scorta del consolidarsi della giurisprudenza di legittimità hanno iniziato campagne di recupero a tappetto.

Gli accertamenti definitivi, in quanto non impugnati nei termini, sono intangibili. Un'eventuale richiesta di annullamento in autotutela proposta dal contribuente non garantisce alcun effetto. Il rigetto della stessa non può essere impugnato. Né il Comune è obbligato all'annullamento per effetto della sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità, sebbene rimanga il potere discrezionale di disporre comunque l'annullamento, senza incorrere in alcuna responsabilità. Sul punto si ricorda che l'unico limite all'annullamento è dato dalla presenza di una sentenza passata in giudicato nel merito.Il contribuente non può aggirare il problema chiedendo il rimborso di quanto pagato con l'accertamento definitivo, in quanto il diniego al rimborso non è impugnabile, e se comunque è proposto ricorso, questo è destinato ad essere dichiarato inammissibile, perché ammettere un giudizio nel merito in questo caso vuol dire riaprire, nei fatti ed inammissibilmente, i termini di impugnazione dell'atto non impugnato a suo tempo (Cass 4760/2009).Per i ricorsi pendenti, il Comune dovrebbe annullare i propri atti e chiedere l'estinzione del giudizio con compensazione delle spese, giustificata dalla sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità. I contribuenti che hanno corrisposto l'IMU, adeguandosi volontariamente alla giurisprudenza di legittimità, hanno i canonici 5 anni di tempo (dalla data del versamento) per presentare l'istanza di rimborso.

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