Indagini finanziarie, il reddito congruo non sposta la prova sul Fisco
La contabilità formalmente regolare, nonché la congruità del reddito imponibile risultante dagli studi di settore, non basta a spostare sull’amministrazione finanziaria l’onere della prova nel caso di maggiori redditi accertati sulla base di movimentazioni bancarie. Incombe, invece, sul contribuente dimostrare l’irrilevanza e la neutralità fiscale di ogni singola movimentazione. Lo afferma la sentenza 6947/2017 della Cassazione , nell’accogliere il ricorso delle Entrate contro la sentenza di secondo grado. Quest’ultima, diversamente dai giudici della Ctp, aveva accolto l’appello proposto dal contribuente in ordine ad un avviso di accertamento (per Irpef, Irap e Iva) relativamente all’anno d’imposta 2004, emesso a seguito di verifica delle movimentazioni bancarie, dalle quali erano emersi versamenti e prelevamenti che il contribuente (un libero professionista) non era riuscito a giustificare.
La Suprema corte rileva l’inidoneità della situazione di regolare tenuta delle scritture contabili e di conformità del reddito dichiarato rispetto a quello risultante dagli studi di settore, a fare ritenere necessaria la dimostrazione dell’ufficio sulla presenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza dell’articolo 2729 del Codice civile, in quanto la presunzione legale posta a favore dell’erario può essere superata «soltanto dalla prova contraria fornita dal contribuente (Cassazione 6237 del 2015 e 9078 del 2016), il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili».
I giudici di legittimità osservano inoltre che, qualora esista – come nel caso in esame – una cointestazione al coniuge del contribuente del rapporto bancario, si deve ravvisare «nel rapporto familiare, affermando la riferibilità al contribuente medesimo, delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti, salva, ovviamente, la prova contraria da parte dello stesso».
Espresso tale orientamento, i giudici di legittimità rinviano alla Ctr la sentenza cassata, invitandola al riesame nella considerazione che la stessa tenga altresì conto della sentenza 228/2014 della Corte Costituzionale , che ha soppresso le parole «o compensi» citate nell’ articolo 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del Dpr 600/1973 . Peraltro tale previsione già non appare più nell’attuale testo dell’articolo 32, a seguito delle modifiche apportate dall’ articolo 7-quater, comma 1, lettere a) e b), del Dl 193/2016 .
Si conferma pertanto l’orientamento della Cassazione di ritenere presunzione legale “relativa” l’esito degli accertamenti bancari – nonostante forti contrasti in dottrina – peraltro come anche sostenuto dalla circolare 8/E/2017 .
Cassazione, sentenza 6947/2017