Indeducibile il compenso all’amministratore unico della società di capitali
L’ordinanza 11161/2021 della Cassazione: la posizione è equiparabile a quella dell’imprenditore
Non è deducibile il compenso per il lavoro svolto dall’amministratore unico di società di capitali in quanto la posizione di quest’ultimo risulta essere equiparabile, sotto il profilo giuridico, a quella dell’imprenditore. Non è, infatti, individuabile, in relazione alla sua attività gestoria, la formazione di una volontà imprenditoriale distinta da quella della società, non ricorrendo l’assoggettamento al potere direttivo di altri, aspetto che rappresenta il requisito tipico della subordinazione. A fornire queste indicazioni è l’ordinanza 11161/2021 della Cassazione.
I compensi riconosciuti agli amministratori, previamente deliberati, sono deducibili dal reddito d’impresa, mentre le retribuzioni di lavoro dipendente corrisposte al medesimo soggetto, potrebbero non risultare tali in quanto, ai sensi dell’articolo 49 del Dpr 917/1986, rientrano tra i redditi di lavoro dipendente esclusivamente quelli che discendono da rapporti aventi a oggetto la prestazione di lavoro (con qualsivoglia qualifica) eseguita alle dipendenze e sotto la direzione di altri.
La Cassazione, in ambito giuslavoristico, ha sancito che non risulta essere configurabile un rapporto di lavoro subordinato qualora non venga provata la sussistenza di un vincolo di subordinazione e, pertanto, l’assoggettamento della persona (anche componente dell’organo esecutivo della società), al potere direttivo, di controllo e disciplinare del Consiglio di amministrazione della società nel suo complesso (Cassazione sentenza 5418/1996).
La qualifica di lavoratore dipendente non è complementare a quella di amministratore unico della medesima società di capitali considerato che, in tale circostanza, non si verifica un concreto assoggettamento al potere direzionale, di verifica e disciplinare da parte di altre figure professionali, situazione che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato (Cassazione, sentenza 24188/2006) considerato che, in tale circostanza, l’amministratore unico accentra su di sé i poteri di gestione e di controllo dell’ente (Cassazione, sentenza 18414/2013).
Pertanto, il ruolo di amministratore di una società di capitali risulta essere compatibile con quello di lavoratore subordinato, esclusivamente nel caso in cui venga accertata l’attribuzione di mansioni differenti rispetto alle funzioni proprie della carica sociale rivestita (Cassazione, sentenza 329/2002), essendo necessario dimostrare che le attività svolte siano caratterizzate dalle peculiarità tipiche del rapporto di subordinazione, secondo quanto disposto dall’articolo 2094 del Codice civile (Cassazione, ordinanza 10308/2021).
La circolare Inps 179/1989 - dedicata agli accertamenti e alla valutazione della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato - ha chiarito che il soggetto che riveste una carica da amministratore che non ammette la sua subordinazione rispetto ad altri soggetti (presidente del Cda, amministratore unico, Consigliere delegato) estrinseca in quanto tale la volontà della società e, di conseguenza, nel caso di lavoratore dipendente, risulterebbe subordinato a se stesso, generando una situazione irrealizzabile dal punto di vista giuridico che renderebbe di fatto impossibile la riconoscibilità di un rapporto di lavoro subordinato e la conseguente assoggettabilità agli obblighi assicurativi.
Tutto questo si traspone, in ambito tributario, nell’indeducibilità dal reddito d’impresa degli oneri erogati a fronte di prestazioni di lavoro dipendente somministrate da un consigliere di amministrazione di una società di capitali se non viene dimostrata la sussistenza di un vincolo di subordinazione nei confronti dell’organo esecutivo della società nel suo complesso (Cassazione, sentenza 22403/2014) a differenza di quanto si verifica in merito ai costi per lavoro dipendente erogati dalla società a un consigliere di amministrazione privo di deleghe per le ulteriori attività svolte dallo stesso e che concorrono alla generazione del reddito d’impresa (Cassazione, sentenza 19050/2015).