Infungibilità dei lavoratori (Almaviva) se le sedi sono molto distanti
Legittima la scelta effettuata da Almaviva di licenziare solo i dipendenti del sito di Roma e valide anche le motivazioni addotte dall’azienda in merito all’impossibilità di ricollocare gli esuberi presso altre sedi. Con la sentenza 1809/2019 del 19 aprile la Corte d’appello di Roma ha ribaltato una delle poche decisioni di primo grado che ha accolto le tesi dei lavoratori e condannata la società.
Il 16 novembre 2017 il tribunale di Roma con cinque ordinanze ha dichiarato illegittimi 153 dei 1.666 licenziamenti perché la comunicazione della procedura collettiva e la comparazione dei dipendenti da espellere avrebbe dovuto riguardare tutte le sedi dell’azienda e che la limitazione all’unità di Roma non era stata motivata sufficientemente.
La Corte d’appello rileva innanzituttto che già il verbale sottoscritto con i sindacati il 22 dicembre 2016 prevedeva la gestione degli esuberi secondo i criteri di scelta legale nel caso in cui non fosse proseguito il confronto sulla riduzione del costo del lavoro. E tale accordo riguardava sia la sede di Napoli che quella di Roma.
Viene ricordato anche che la procedura di mobilità (articolo 4 della legge 223/1991) «non può concludersi con plurime e distinte intese» e «dunque per le sedi di Napoli e di Roma le parti sociali hanno convenuto...nel contenere la dichiarazione di esubero alle sole sedi interessate e nell’applicare i criteri legali a ciascuna di esse, con l’unica differenza che, mentre per la sede di Roma ai licenziamenti si sarebbe potuto procedere fin da subito, per la sede di Napoli era prevista la moratoria».
Inoltre la Corte d’appello ritiene effettive le ragioni organizzative e produttive addotte dall’azienda a supporto della scelta di licenziare solo i dipendenti di Roma. In particolare, richiamando dei precedenti di Cassazione, la distanza geografica tra unità produttive è considerata un indice di infungibilità delle posizione lavorative «tale da legittimare e rendere ragionevole la scelta di delimitare l’ambito della selezione alla sola unità produttiva soppressa». Nel caso specifico, l’alternativa era il trasferimento a Rende, in Calabria.
Bocciata anche l’argomentazione del tribunale secondo cui il trasferimento di commesse ad altre sedi avrebbe giustificato la ricollocazione dei lavoratori invece del licenziamento. Una tesi, secondo la Corte d’appello, che assimila arbitrariamente il trasferimento dei dipendenti e delle commesse e che comunque nella pratica non si sarebbe potuto assicurare che il dipendente sarebbe stato spostato nella stessa sede destinataria della commessa su cui stava lavorando.
Infine non è incompatibile con i licenziamenti il successivo impiego di lavoratori in somministrazione, se questa scelta non serve a colmare vuoti di organico originati ingiustificatamente dal processo di ristrutturazione e non ci sia un successivo ampliamento dell’ambito di azione dell’impresa.