Intercettazioni da allegare all’avviso in forma integrale
È illegittimo l’accertamento fondato su dichiarazioni e intercettazioni ambientali nei confronti di terzi, acquisite nel corso di indagini penali, se non allegate integralmente al provvedimento. Si tratta, infatti, di notizie rilasciate verosimilmente in uno stato di soggezione che possono essere valutate solo attraverso la lettura dell’originale, e non per sintesi. Ad affermarlo è la Ctp di Reggio Emilia 99/2/2017 depositata il 3/4/2017 (presidente e relatore Montanari).
L’agenzia delle Entrate notificava a una società un avviso di accertamento disconoscendo, tra i diversi rilievi, delle fatture ritenute oggettivamente inesistenti. La tesi erariale era fondata esclusivamente su alcune dichiarazioni rese dall’imprenditore emittente tali fatture nell’ambito di un’indagine penale a suo carico, confermate da intercettazioni ambientali.
La società impugnava il provvedimento, lamentando la carente motivazione per omessa allegazione delle dichiarazioni rilasciate del terzo indagato, e presentava documenti a dimostrazione dell’effettività delle operazioni riportate nelle fatture contestate.
I giudici emiliani hanno ritenuto fondate le rimostranze della società e fornito un interessante chiarimento sulla valenza probatoria di simili elementi, acquisiti nell’ambito di un procedimento penale a carico di terzi. La ricorrente era a conoscenza delle notizie rilasciate dall’indagato solo perché richiamate per stralci nel Pvc notificatole prima dell’emissione dell’avviso successivamente impugnato. In altre parole, alla società non erano state consegnate né le dichiarazioni rilasciate in originale, né la trascrizione delle intercettazioni ambientali. L’ufficio si era limitato a riportarne una sintesi nell’atto notificato. Simili informazioni possono assumere significato concreto solo se verificate nella loro globalità, dal momento che una frase decontestualizzata può avere portata fuorviante rispetto al senso generale del discorso.
Il collegio ha comunque rilevato che, anche ammettendo corretta la trascrizione di tali notizie, il provvedimento era comunque illegittimo. Quest’ultimo si fondava per buona parte sulle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio penale da parte dell’imprenditore indagato. Secondo la Cassazione, però, tali dichiarazioni non possono assurgere di per sé a rango di prova “determinante”, poiché devono essere criticamente ponderate dal giudice tributario.
Pertanto, la Ctp ha ricordato che le dichiarazioni confessorie dell’indagato potevano anche avere la finalità di «amicarsi gli organi inquirenti, nei cui confronti si trova, normalmente in una situazione psicologica di inferiorità, al fine di ottenere mitezza di trattamento». Secondo i giudici, quindi, tali dichiarazioni dovevano essere riscontrate anche in relazione agli altri elementi probatori e alle giustificazioni fornite dalla contribuente. Agli atti, infatti, risultavano contraddittorie, tanto da smentire la rettifica operata dall’ufficio.
Con queste motivazioni la Ctp ha accolto il ricorso. La decisione appare particolarmente interessante, poiché di frequente gli uffici non allegano le dichiarazioni rilasciate da terzi, pregiudicando la difesa del contribuente.
Ctp di Reggio Emilia 99/2/2017