Imposte

Intermediari finanziari, clausola di salvaguardia sulle condotte coerenti

di Marco Piazza

La nuova definizione fiscale di «intermediari finanziari» contenuta nell’articolo 162-bis del Testo unico introdotto dal Dlgs 142/2018 si applica dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018. A partire da questo periodo d’imposta:

•le società che redigono il bilancio secondo le regole di cui al Dlgs 136/2015 (intermediari finanziari Ifrs e non Ifrs) non sono soggette al limite di deducibilità degli interessi passivi netti entro il 30% del Rol, ma applicano l’addizionale Ires del 3,5% (fanno eccezione le Sim e le società di gestione di fondi comuni che deducono gli interessi passivi nella misura del 96%). Per quanto riguarda le svalutazioni e le perdite su crediti, applicano l’articolo 106, comma 3, del Testo unico. Il valore della produzione ai fini Irap è determinato con le regole di cui all’articolo 6, commi da 1 a 8, del Dlgs 446/1997. Sono inoltre soggette all’aliquota Irap maggiorata di cui all’ articolo 16, comma 1-bis, Dlgs 446/1997;

•le società di partecipazione non finanziaria (holding industriali) e le società assimilate (che esercitano attività di concessione di finanziamenti all’interno del gruppo di appartenenza) deducono gli interessi passivi netti nei limiti del 30% del Rol, in base all’articolo 96, commi da 1 a 4, ma non scontano l’addizionale Ires. Quanto alle svalutazioni e alle perdite su crediti, applicano l’articolo 106, commi 1 e 2, del Testo unico. Determinano il valore della produzione Irap in base all’articolo 6, comma 9 del Dlgs 446/1997 e scontano l’aliquota Irap maggiorata.

Le altre società considerate «intermediari» dal Dlgs 87/1992 sono ora tassate con le regole delle imprese industriali a meno che in bilancio il totale delle partecipazioni e degli elementi patrimoniali correlati ecceda il 50% dell’attivo; nel qual caso il valore della produzione Irap sarà determinato con i criteri di cui all’articolo 6, comma 9, del Dlgs 446/1997 e sarà dovuta l’aliquota Irap maggiorata. Fra queste società (ex finanziarie) possono rientrare:

•le «società captive di gruppi industriali», qualora non abbiano già recepito dalla dichiarazione dei redditi 2016 le indicazioni contenute nella consulenza giuridica n. 954-50/2014 del 30 novembre 2016 (circolare Assonime n. 9 del 2017) secondo cui già dal 2016 erano assimilate alle holding industriali;

•le «società di consulenza in materia di struttura finanziaria», il cui incerto status è stato oggetto delle circolari Assonime 17/2016 e 9/2017 e dell’interpello 106/2018;

•le «merchant bank» e le «società di venture capital» che, in vigenza del Dl 87/1992, erano considerate intermediari finanziari e oggi non sono più tenute a redigere il bilancio degli enti finanziari e quindi possono, al più, essere assimilate alle società di partecipazione.

Proprio per tipi di operatori (e altri del settore finanziario non più soggetti alla vigilanza della Banca d’Italia) si pone un problema di transito dalla disciplina fiscale degli intermediari finanziari a quella delle imprese industriali; transito che non deve comportare duplicazioni, né salti d’imposta. A questo proposito, non pare possano esserci problemi nel cambio di regola sulla deducibilità degli interessi passivi. Possono, invece, sorgere difficoltà nel passaggio dal criterio di deducibilità fiscale delle svalutazioni e perdite su crediti delle banche e degli intermediari finanziari a quello applicabile alle imprese industriali.

L’unica soluzione ragionevole pare sia quella di Assonime (circolare 9 del 2017, pag. 10) secondo cui «sarebbe opportuno “mantenere ferma” la disciplina fiscale applicata ab origine sino ad esaurimento degli effetti prodotti, mentre per le “operazioni” sorte dopo il “passaggio” alla disciplina dei soggetti industriali dovrebbe applicarsi la corrispondente normativa». Di conseguenza, le rettifiche di valore dei crediti sorte anteriormente all’adozione della disciplina fiscale prevista per i soggetti industriali dovrebbero continuare a essere deducibili ai sensi delle norme dettate per i soggetti finanziari, mentre quelle sorte dopo il “passaggio” alla disciplina fiscale dettata per i soggetti industriali seguiranno le regole per gli stessi previste.

I commi 9 e 10 dell’articolo 13 del Dlgs recano importanti clausole di salvaguardia per tutelare i contribuenti che dal 2016 in poi hanno dovuto compiere scelte al buio a causa del mancato coordinamento fra le norme di bilancio e quelle fiscali. Si fanno salvi, in ogni caso, i comportamenti adottati nei periodi d’imposta precedenti a quello di efficacia delle nuove disposizioni. La determinazione del reddito e del valore della produzione netta per i periodi d’imposta precedenti si considera corretta se i comportamenti adottati dal contribuente fino all’8 agosto 2018 (data di approvazione, in via preliminare, del decreto legislativo in Cdm) sono stati tra loro coerenti. In tal caso, quindi, le dichiarazioni rettificative/integrative o le istanze di rimborso presentate dopo l’8 agosto 2018 sono considerate ai fini del corretto calcolo del carico impositivo per gli esercizi precedenti solo se coerenti con i comportamenti adottati fino all’8 agosto 2018. In pratica la clausola di salvaguardia opera soltanto se il contribuente ha mantenuto un comportamento coerente fino all’8 agosto 2018 ed è ammessa la presentazione di dichiarazioni rettificative integrative, dopo tale data, solo per correggere scelte non conformi.

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