Interpelli impugnabili fino al 2015
Rigetto dell’interpello impugnabile direttamente solo prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina sulle società non operative: la disposizione che ha previsto la non impugnabilità non è retroattiva, con la conseguenza che sono ammissibili i ricorsi proposti. È questo l’orientamento della Corte di cassazione che pare pertanto escludere la differente interpretazione dell’agenzia delle Entrate sul punto.
La nuova norma
L’articolo 6 del Dlgs 156/2015 prevede che le risposte alle istanze di interpello non sono impugnabili, fatte salve quelle presentate per la disapplicazione di norme antielusive che limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, avverso le quali può essere proposto ricorso solo unitamente all’atto impositivo. La nuova norma ha quindi escluso l’impugnabilità in via autonoma dei predetti dinieghi, consentendo la tutela solo una volta ricevuta la notifica dell’atto impositivo. Tale previsione è in vigore dal 1° gennaio 2016.
L’interpretazione
L’agenzia delle Entrate ha da sempre ritenuto che il diniego ad una istanza di interpello non fosse un atto impugnabile dinanzi al giudice tributario (circolare 32/2010). La tesi è fondata sulla circostanza che la risposta di interpello esprime il parere dell’amministrazione solo in base ai documenti prodotti dal contribuente in sede di presentazione dell’istanza, senza alcuna verifica sulla veridicità di quanto affermato dall’interessato. Perciò le risposte, avendo natura di atto amministrativo non provvedimentale, sono prive di esecutività (non producono automaticamente ed immediatamente effetti) ed esecutorietà, (non impongono coattivamente l’adempimento di alcun obbligo).
Con la circolare 9/2016, l’Agenzia aveva rilevato che il nuovo articolo 6 del Dlgs 156/2015 è confermativo del consolidato orientamento assunto dagli uffici.
Verosimilmente l’Agenzia, da tali conclusioni, nei giudizi pendenti ribadiva la richiesta di inammissibilità del ricorso del contribuente, definendo la nuova norma di natura interpretativa e quindi applicabile retroattivamente.
La Cassazione
La Suprema Corte, anche in vigenza delle pregressa normativa, con orientamento consolidato ha ritenuto che il contribuente avesse la facoltà di impugnare il diniego che resta pur sempre un provvedimento con cui l’amministrazione porta a conoscenza il proprio convincimento su un determinato rapporto tributario (per tutte: Sezioni unite 5723/2016, 11397/2017).
In tale contesto, i giudici di legittimità hanno verificato la possibile valenza interpretativa della nuova norma sulla non impugnabilità degli interpelli e di conseguenza la possibilità che tale previsione possa trovare applicazione anche per il passato e quindi per i contenziosi pendenti.
Con una recente pronuncia (sentenza 7497/2018) che ha confermato una precedente interpretazione (sentenza 25498/2017) la Corte ha precisato che il citato articolo 6 non ha una valenza interpretativa ma di nuova disciplina sull’interpello e, quindi, non dispone che per l’avvenire.
Per i giudici, né la struttura né la funzione della nuova disciplina manifestano le caratteristiche tipiche dell’interpretazione autentica (in saldatura con la pregressa disciplina) o dell’innovazione retroattiva, secondo i parametri tracciati dal giudice delle leggi (ad esempio Corte costituzionale 41/11). Altresì è stato precisato che, sebbene i lavori preparatori ad una norma non costituiscano elemento decisivo per la sua interpretazione, in ogni caso il tenore della relazione illustrativa del Dlgs 156/2015 non offre riscontro dell’asserita valenza interpretativa della nuova normazione delegata.
Ne consegue che il rigetto degli interpelli era impugnabile fino al 31 dicembre 2015 e solo dal 2016, occorre attendere l’atto impositivo. Vi è ora da sperare che gli uffici rinuncino a perseguire l’inammissibilità delle impugnazioni pregresse dei contribuenti.