Controlli e liti

INTERVISTA/Antonio Leone (Cpgt): giustizia tributaria, terzietà a rischio con la gestione alla Corte dei conti

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di Marco Mobili e Giovanni Parente

Una strada impraticabile perché incostituzionale. Antonio Leone, al vertice del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (Cpgt), boccia senza appello l’autocanditatura della Corte dei conti alla gestione dei processi fiscali. E rilancia sul tema della terzietà, garantendo il distacco totale del Mef.

Dopo la proposta avanzata dalla Corte dei conti, siamo davvero di fronte a uno scontro istituzionale?

Non si può parlare di scontro istituzionale ma forse di poco garbo istituzionale. La mia prima reazione dopo aver avuto conoscenza, attraverso un comunicato diretto a tutti, della surreale offerta del Consiglio di presidenza della Corte dei conti è stata di estrema meraviglia per il modo in cui la questione è stata posta.

Perché?

Non penso che ci siano precedenti storici sul punto. Al di là della stima e riconoscenza che si può avere nei confronti di una giurisdizione che svolge egregiamente il suo lavoro, non va sottaciuto che per l’ipotesi prospettata balza agli occhi a mio parere un’evidente questione, già evidenziata in sede di inaugurazione di questo anno giudiziario della giustizia tributaria, di incostituzionalità.

Sono a rischio i diritti del contribuente?

Ciò che ha fatto saltare sulla sedia gli operatori del diritto è stata l’idea del Consiglio di presidenza della Corte dei conti di voler «concentrare in una stessa magistratura gli interessi dell’Erario e del Fisco». Fa profondamente riflettere quanto si è scritto al presidente del Consiglio, nella lettera di accompagnamento della proposta, che la Corte dei conti intende «offrire quale magistratura posta dalla Costituzione a salvaguardia degli interessi dell’Erario il proprio contributo al miglior esercizio della giustizia tributaria medesima». Con buona pace dei diritti e degli interessi dei contribuenti italiani.

Sono anni che si parla di riforma della giustizia tributaria. Ora che una giurisdizione interviene per occuparsene, siete tutti contrari. Qual è a suo avviso la strada da seguire per passare dalle proposte ai fatti?

Per la verità c’è già chi si è occupato fino ad oggi della giustizia tributaria. E anche con lusinghieri risultati. Che poi vi sia la necessità di una riforma che la renda ancor più agevole e fruibile è evidente. La riforma della giustizia tributaria, lo ripeto da tempo, deve però avvenire in maniera graduale e senza forzature. Nei giorni scorsi e prima della offerta della Corte dei conti, il plenum del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria ha approvato, all’unanimità, una delibera che è stata inviata al presidente del Consiglio e ai presidenti di Camera e Senato in cui sono elencate le nostre riflessioni frutto anche di un confronto con il mondo universitario, delle professioni e delle associazioni.

La terzietà del giudice tributario è il tema sollevato da tutti gli osservatori. Difficile immaginarla con l’attribuzione al giudice contabile che deve garantire le ragioni dell’Erario. Terzietà che manca anche nell’attuale sistema. Come si può garantirla ?

Certo non è facile immaginare una terzietà assoluta con le premesse di cui abbiamo già detto. L’attuale giurisdizione tributaria è già terza ed indipendente, ma va salvaguardata anche “l’apparenza” attraverso il distacco radicale, in ogni sua forma ed espressione, dal Mef.

Le proposte di legge in Parlamento puntano al magistrato tributario professionista e a tempo pieno. Potrebbe essere la strada per arginare o limitare i fenomeni di corruzione emersi anche recentemente?

I casi di deviazione non sono più numerosi di quelli riscontrati in altre magistrature. Non esiste una questione morale: si tratta di sporadiche responsabilità legate al comportamento dei singoli. La “composizione mista” delle Commissioni tributarie esiste anche in altre giurisdizioni, a partire da quella ordinaria. Non mi sembra molto opportuno il ricorso da parte del Consiglio di presidenza della Corte dei conti alle considerazioni che l’Anac ebbe a inserire, inusitatamente e impropriamente, nel piano di aggiornamento 2019. Sono considerazioni che l’Anac ha fatto fuori da ogni propria competenza e riscontro.

Le sezioni specializzate espressamente previste dall’attuazione della delega fiscale sono rimasta lettera morta. Un modello simile garantirebbe maggiore certezza del diritto. Come ci si può davvero arrivare?

La maggior certezza del diritto la può dare solo una maggiore uniformità delle decisioni. Presso le Commissioni regionali abbiamo istituito un ufficio del Massimario delle decisioni. La stessa cosa ha fatto la Cassazione - che la Corte dei conti vorrebbe eliminare quale terzo grado nel giudizio tributario - con una poderosa ed efficacia massimazione delle decisioni della Corte stessa in materia di diritto tributario.

C’è un problema culturale?

Certo, qualsiasi tipo di investimento non deve comunque prescindere da una ormai evidente necessità: quella di alimentare una svolta culturale che porti alla consapevolezza da parte dei cittadini che solo la legalità fiscale può consentire una convivenza democratica, serena ed equilibrata.

Tra i mali della giustizia tributaria c’è un’endemica carenza di organico, peraltro in un momento in cui il processo telematico è diventato obbligatorio. Cosa si sente di suggerire al legislatore per risolvere il problema?

Come tutte le cose non è possibile fare le nozze con i fichi secchi. Bisogna investire nella giustizia tributaria e nell’importanza del suo funzionamento. Per quanto riguarda la carenza di organico di personale amministrativo spetta al ministero, che attualmente ha in carico i dipendenti delle Commissioni tributarie e del Consiglio di presidenza, avviare nell’immediato ad interpelli interni all’amministrazione stessa e a concorsi per il reclutamento di nuovo personale.

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