Iscrizione avviamento, deducibile la somma pagata agli altri eredi
La sentenza della Cassazione 954 del 17 gennaio 2018 esamina un caso particolare di iscrizione di avviamento tra le attività di una azienda. La peculiarità risiede nella modalità di acquisizione, dato che si tratta del caso di una azienda pervenuta in successione a più eredi per la quale uno di questi ha versato un conguaglio agli altri, diventando l'unico titolare dell’impresa.
Nel bilancio della ditta è stato iscritto come avviamento (e quindi ammortizzato) l'importo pagato ai coeredi, considerandolo come la spesa necessaria per acquisire la totale proprietà dell’azienda, esattamente come sarebbe avvenuto nel caso di acquisto dell’azienda da terzi.
L’Amministrazione finanziaria ha contestato l’indeducibilità dell’ammortamento per difetto di inerenza, ma il giudizio di merito si è espresso in senso favorevole al comportamento del contribuente, osservando che l’acquisto della azienda era volto a continuare l’attività imprenditoriale autonomamente, con l’intento di godere in modo pieno ed esclusivo del reddito derivante dalla gestione, con conseguente inerenza del relativo costo inserito in bilancio.
Queste conclusioni vengono confermate dalla Cassazione, secondo la quale «l’iscrizione in bilancio della quota di ammortamento dell’avviamento e la deducibilità della relativa posta si palesano pertanto legittime, stante l’evidente inerenza del costo rispetto all’acquisizione della esclusiva proprietà del bene produttivo in funzione della gestione diretta dell’azienda, con esclusione degli altri coeredi».
La sentenza, il cui contenuto è sicuramente condivisibile, riguarda solo la determinazione del reddito dell’azienda acquisita, e quindi non prende in considerazione (né potrebbe farlo) un altro aspetto collegato, e cioè l’eventuale rilevanza fiscale delle somme percepite dai coeredi.
Su questo punto, l’avviso di accertamento, che era stato emesso nei soli confronti del titolare dell’impresa, si limitava ad affermare che vi era stato uno spostamento di ricchezza che non riguardava l’azienda, bensì le persone fisiche, rilevando quindi nella sfera privata di tali soggetti.
Tuttavia, se si aderisce alla tesi secondo cui nella situazioni in esame si è in presenza di una acquisizione (parziale) di una azienda, dal punto di vista dei coeredi che hanno incassato le somme si dovrebbe concludere che il negozio che si configura è quello della cessione (parziale) di una azienda pervenuta in successione. Il provento derivante da questa operazione, ai fini delle imposte sui redditi, è preso in considerazione dall’articolo 67, comma 1, lettera h bis del Testo unico, che qualifica come reddito diverso «le plusvalenze realizzate in caso di successiva cessione, anche parziale, delle aziende acquisite ai sensi dell'articolo 58». Si tratta, appunto, delle acquisizioni per causa di morte o per atto gratuito.
Sembrerebbe ragionevole poter concludere, quindi, che dovrebbe essere previsto un trattamento “simmetrico” dei conguagli tra i coeredi: per chi li paga, si tratta di un avviamento deducibile in capo all’azienda, per chi li riceve opera la tassazione come reddito diverso. Le contestazioni avanzate dall’Amministrazione finanziaria, quindi, avrebbero potuto non tanto indagare il profilo dell’inerenza in capo all’impresa, bensì il reddito imponibile delle persone fisiche. Infine, per quanto riguarda la quantificazione degli importi, non dovrebbe rilevare tutto l'importo pagato ma solo la differenza rispetto al costo fiscale dei beni trasferiti:
per l’acquirente, le somme che incrementano i valori contabili dovrebbero essere solo quelle pagate in eccesso rispetto al valore già iscritto dei beni;
per il cedente, il reddito diverso è dato solo dalla plusvalenza, ovvero dall'eccedenza di quanto ricevuto rispetto al costo dei beni ceduti .