Istituti finanziari senza linee guida sul transfer pricing
Banche e istituti finanziari in cerca di linee guida specifiche sul transfer pricing. Il messaggio emerge dai commenti al discussion draft Ocse sulle operazioni finanziarie, pubblicati sul sito dell’organizzazione. Il documento risulta più appropriato alle realtà industriali, anche se non prevede espressamente limitazioni del campo applicativo. In particolare, non si tiene nella dovuta considerazione il fatto che il mondo finanziario e quello bancario sono soggetti a stringenti obblighi regolamentari che possono condizionare il business e il pricing delle operazioni.
Per l’Ocse, nel delineare le transazioni infragruppo si deve determinare una sorta di capitalizzazione «arm’s length», così che l’indebitamento intercompany possa essere riqualificato in capitale qualora non rifletta i valori di società comparabili indipendenti. Concetto, quest’ultimo, di applicazione pratica difficile e incerta anche perché la trattazione dell’Ocse dovrebbe andare oltre la semplice distinzione tra equity e indebitamento, considerando le numerose possibilità e strumenti con cui le imprese possono decidere di capitalizzarsi e indebitarsi. In ogni caso tali previsioni non sono applicabili agli istituti finanziari in quanto i requisiti di patrimonializzazione sono definiti dai regulators. Pertanto, un prestito intercompany non dovrebbe essere riqualificato come investimento azionario fintantoché una società finanziaria soddisfi questi requisiti. Imporre ulteriori restrizioni di capitalizzazione comporterebbe una difficile gestione combinata di norme fiscali e regolamentari, con evidenti aggravi di oneri amministrativi e rischi di contenzioso. Già l’Ocse e la normativa interna (provvedimento 49121/16) prevedono, per le stabili, che il fondo di dotazione si possa determinare in base delle disposizioni di vigilanza come per una banca indipendente, mentre la riqualifica del debito in capitale deve avvenire in circostanze eccezionali (circolare 6/2016).
Anche nella prospettiva del lender le logiche di analisi proposte (il “two-sided approach” che considera la prospettiva di entrambi i contraenti) non sono del tutto appropriate. I limiti regolamentari potrebbero infatti intervenire nella determinazione dell’ammontare massimo erogabile di un finanziamento influenzandone di conseguenza il pricing.
Riguardo all’utilizzo dei sistemi di rating, andrebbe chiarito che l’affermazione secondo cui gli strumenti interni hanno limitata affidabilità non è applicabile ai gruppi bancari. Anche il tema del supporto implicito della casa madre per determinare il rating andrebbe rivisto per tener conto del fatto che in ambito finanziario la possibilità per la parent di supportare le controllate in difficoltà è soggetta a numerose restrizioni. In aggiunta la presunzione secondo cui il rating di gruppo possa essere utilizzato per tutte le correlate non è condivisibile, salvo che costituisca un safe-harbor.
Il documento sembra infine considerare rischi finanziari quali il rischio credito, cambio, liquidità, interesse ecc. come ancillari e separabili dal core business. Ciò non può valere per gli operatori finanziari per cui tali rischi sono di estrema rilevanza. L’Ocse dovrebbe tener conto delle peculiarità del mondo finanziario prevedendo nel paper passaggi specifici o documenti ad hoc.